lunedì 25 aprile 2022

Fesso con la F maiuscola


Antoine-Alexandre-Henri Poinsinet (1735-1769) ai suoi tempi fu un commediografo e librettista di qualche successo, e se oggi le sue opere sono pressoché dimenticate, lui continua invece ad essere ricordato perché era Fesso, un Fesso di quelli con la F maiuscola, tanto che il suo nome divenne proverbiale e "bestia come Poinsinet" divenne un modo di dire comune in Francia.


Il fatto è che assieme ad una pressoché totale incapacità di capire i meccanismi del vivere comune e ad una credulità e ingenuità profonde, il maccabeo si portava dietro l'assoluta certezza di essere un genio e una incrollabile fede nel suo essere  superiore a tutti gli altri: una miscela esplosiva di ignoranza, dabbenaggine, stolidità, vanità e superbia che lo identificò come un Fesso di prim'ordine nei salotti parigini e che lo rese vittima di una serie di burle di prima categoria, ricordate da Jean Monnet, direttore del Théatre de la foire, nelle sue memorie. Vediamone qualcuna, tanto per avere un'idea di quanto fesso fosse costui.

Possiamo partire da quando alcuni "amici" lo convinsero che il re di Prussia aveva intenzione di affidargli l'educazione del principe reale ma che per questo avrebbe dovuto abbandonare la religione cattolica e abbracciare il protestantesimo. Poinsinet abboccò subito, esca, amo e tutta la lenza, e addirittura abiurò in una cerimonia celebrata da un falso pastore luterano che gli fecero credere fosse arrivato clandestinamente in Francia. Quando la beffa fu rivelata, il drammaturgo voleva denunciare gli autori dell'imbroglio, ma la paura di aumentare il ridicolo lo tenne sconsideratamente a freno.

Sconsideratamente perché gli stessi, tempo dopo, gli fecero credere di  aver ucciso un gentiluomo in duello anche se in realtà aveva appena sguainato la spada. Non solo: lo convinsero anche che per questo omicidio era stato condannato all'impiccagione,  gli fecero leggere una falsa sentenza e pagarono un falso banditore perché passasse sotto le finestre della sua casa dando la notizia della condanna.  Poinsinet allora si travestì da abate, si fece tonsurare e andò a nascondersi fuori Parigi. I buontemponi continuarono lo scherzo fino quando, dopo avergli fatto assumere i ruoli più ridicoli per continuare la sua latitanza, gli dissero che il re, visto che era un grande poeta, orgoglio della Francia, gli aveva concesso il perdono. E qui la cosa rischiò di finire male perché il fesso scrisse al re per ringraziarlo e il re stava per farla pagare ai mattacchioni, non tanto perché avevano messo in ridicolo Poinsinet, ma perché non gli era piaciuto che qualcuno osasse il suo nome per ridere senza di lui.

Lo scherzo però a mio parere più bello, se non altro per la durata, fu quando i soliti burloni gli annunciarono che l'Imperatrice di Russia intendeva nominarlo membro dell'Accademia di San Pietroburgo, ma che prima, per poter godere pienamente dei benefici concessi dalla zarina, avrebbe dovuto imparare il russo e a questo scopo, si affidò ad un insegnante di lingua russa,  studio e si applicò  duramente per ben sei mesi, e forse sarebbe andata ancora di più se non fosse successo che Poinsinet incontrò casualmente un ufficiale russo autentico e ci rivolse la parola senza che questo capisse nulla -e d'altra parte neanche lui capiva quel che diceva il russo. Come mai? Niente di particolare, solo che in tutti quei mesi l'insegnante, che gli era stato presentato dai soliti "amici", non gli aveva insegnato il russo ma... il bretone, lingua senza dubbio interessante ma, ahimé, poco adatta per l'Accademia di San Pietroburgo. Kaezh droch!


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Ho conosciuto la storia di Poinsinet in: L'école des malins, di Jean-Charles, Presses de la Cité, 1964.
Informazioni più approfondite sono disponibili su Wikipedia francese.
Le Mémoires di Jean Monnet sono consultabili su Gallica.
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