sabato 14 novembre 2020

Lettere ad Anna 12 - La maschera del dolore

 Anna, amore mio

quando ti ho parlato delle mie maschere, mi sono accorto di avere saltata una, forse la più pesante, quella che è diventata tanto parte di me te non essere stato più capace di distinguere dallo strumento (quello che mi serviva -o mi faceva comodo) e quello che ero.

Ti ho già parlato di quella ragazza che mi tradì e mi abbandonò e della lettera che mi aveva scritto e che per tanto tempo mi sono portato dentro il portafoglio. Anche se il tradimento e l'abbandono erano stati molto duri per me, il fatto di poter leggere ogni tanto quella lettera in cui c'erano parole d'amore che all'epoca erano sincere (almeno spero) mi tirava su nei momenti bui e mi dicevo che se una donna mi aveva scritto, o meglio: aveva scritto per me quelle cose, beh, il mondo era meno brutto di quel che pareva e io non ero proprio un essere che non meritava nulla e che era destinato a rimanere solo. Ma, al tempo stesso, mi portavo dietro l'immagine di un dolore forte, che avevo vissuto come un trauma, e certo rileggere le parole di quella ragazza mi faceva da una parte star bene, dall'altra ripassava il dito nella piaga. Fu così che negli anni mi creai una maschera ossessiva e in un certo senso definitiva che solo con te (e anche a fatica) è caduta.

Quella maschera trasformaò il dolore in identità, e diede un motivo complessivo, una guida, un punto di riferimento stabile a cui feci ruotare attorno tutta la mia vita affettiva per più di 30 anni: io divenni il dolore, con il dolore, il tradimento (e anche la vergogna di essere stato tradito, il fatto di essere stato cornuto) mi costruì una piattaforma su cui sono salito per guardare il mondo e rinfacciare al mondo il fatto di aver scelto di essere solo. Mi sono costruito proprio un monumento, il monumento dell'amore infelice è inconsolabile, su cui siedevo con la dignitò offesa e al tempo stesso mantenevo l'immagine di un uomo forte (e sensibile) che affronta la vita e tira avanti neanche tanto male, anche se col peso di un amore tragico è atroce! (figuriamoci, come se fossi stato l'unico cornuto della storia umana, o come se il mio sentimento, anche al plurale: i miei sentimenti, fossero più nobili di quelli degli altri!!!)

E questo monumento funzionò. A parte che è diventato alle volte anche un sistema per rendersi interessanti (c'era quella che diceva "guarda che personaggio, che bella storia la sua, vediamo di consolarlo") e anche solleticava la vanità (c'era. più spesso, anche il tipo di donna che si metteva in testa di salvarmi col proprio amore e roba del genere, cosa che mi causò delle storie piuttosto sgradevoli che avrei voluto evitare).

Non solo però: la cosa più importante era che io mi presentavo come un uomo sensibile, bruciato dall'amore e per questo refrattario ad ogni forma di sentimento o quasi. Era il sistema buono per evitare qualsiasi coinvolgimento, Non per fare il cialtrone, no, era per evitare la possibilità di avere un altro dolore del genere. Follia pura, naturalmente. Senti cosa scrivevo.. -boh, forse 20, forse 10 anni fa, comunque quando il processo di identificazione con il dolore si era già concluso: "La dimensione del dolore - scrivevo- è una cosa strana. Quando superi un determinato limite, il dolore e il rimpianto per la donna perduta diventa un compagno, un amico che ti fa compagnia e non ti lascia. diventa quasi parte di te, lo senti come parte di te, ed è fedele, non ti lascia anzi ti prende per mano e ti accompagna ".

Amore mio, hai capito quanto ero suonato? E quando ho scritto quelle cose c'ero dentro ormai del tutto, le lacrime che magari avevo versato su quella lettera si erano asciugate da un pezzo, ma con loro mi ero inaridito anch'io. Certo, ho continuato a cercare la donna della mia vita, sapevo che c'era da qualche parte, ma una parte di me, la mia maschera non mollava il dolore e mi frenava. Ecco perché non ho mai volue in effetti non avevo torto, giusto amore mio?) , e nel frattempo avessi relazioni superficiali, una vita presa di striscio, appunto.

Col senno di poi, potrei dire che comunque tutta questa follia un senso ce l'ha avuto, se mi fossi accontentato , se avessi accettato un compromesso, magari una famiglia con prole...beh, non so se oggi sarei con te. non mi ricordo più chi.

Quindi ringrazio anche la mia follia anche quella maschera che è stata l'ultima cadere, anzi forse è stata la prima a cadere perché senza quella maschera ho potuto arrivare a te, e tu hai fatto cadere tutte le altre.

ti amo Anna

il tuo Sesto Gatto

giovedì 5 novembre 2020

Lettere ad Anna 11 - Una foglia secca

Anna, amore mio

tra queste pagine c'è una foglia secca - anche rotta- di ginkgo biloba. È proprio di quell'albero che abbiamo visto uscendo dalla nostra passeggiata nel roseto. Da completo ignorante dei nomi di alberi, mi hai insegnato il nome della pianta, mi hai detto da dove veniva ed anche altre cose. Che non ricordo, perché ad un certo punto, come poi ho visto mi capita spesso, mentre ti ascolto  vengo rapito dal tuo viso, dalla tua voce (non dalle tue parole... ), dalla tua presenza completa e questo rapimento mi porta chissà dove, in posti comunque meravigliosi e profondi come i tuoi occhi.

Poi, non so bene cosa avessi in testa, ho raccolto quella foglia e me la sono messa in tasca. Perché? Boh. Non era da me, certo. Penso che volessi portarmi dietro un qualcosa non che mi ricordasse ma che mi facesse rivivere ogni tanto le emozioni di quel giorno e neanche questo, ti assicuro era da me. senza rendermene conto,

Ero lì lì per cadere in un baratro che avevo sempre cercato di evitare, non solo, che avevo anche cercato - almeno per quel che mi riguardava- di disprezzare: il romanticismo. Il romanticismo con tutto quello che si va dietro: bacetti, mano nella mano, coccole, sdilinquimenti, tutta roba che non mi andava giù e che detestavo soprattutto quando ne parlavo con altre persone. Ma sotto sotto non era così, non era così per niente. Era come la favola della volpe e l'uva, o meglio ancora come il proverbio bretone (credo)  "il gatto che non riesce a raggiungere la carne dice che puzza".

Perché il romanticismo, inteso proprio come rapporto affettivo,  anzi come espressione di un rapporto affettivo, Io l'avevo cercato, non l'avevo mai trovato, e quindi l'ho eliminato dalle cose volute disprezzandolo come inutile, melenso, ridicolo e non confacente a persone adulte responsabili. una roba da tenere a distanza, anzi da ridicolizzare quando vedevo certe espressioni e comportamenti.

Ma dentro di me invidiavo quelle coppie che vedevo sfiorarsi con le mani, scambiarsi occhiate  languire, passeggiare assieme stretti l’una all'altro., e dentro di me fantasticavo, pensavo a come sarebbe stato avere un rapporto del genere, pensavo alle parole, alle frasi che avrei detto, mi immaginavo notti e passeggiate sotto la luna come nella tradizione e nell’iconica rappresentazione dell'amore romantico.

Quei gesti che non sapevo in realtà quanto fossero potenti e importanti, gest che solo con te ho potuto scoprire e apprezzare. Anche queste per gesti come raccogliere una foglia di un albero sconosciuto e conservarla tra le proprie carte senza un motivo razionale, solo per la magia di una giornata, di una passeggiata.

Quel giorno al roseto, in mezzo a una bellezza che riuscivo a contemplare con gioia e meraviglia solo perché ero con te, quel giorno, dicevo, hai fatto una cosa che non mi era mai successa prima o almeno non mi era mai successa in quel modo e con quella potenza. 

Eravamo sulla parte alta del roseto, tu un po' avanti a me, e ho visto che con una naturalezza che mi ha colpito per la sua novità (almeno per me) hai allungato leggermente la mano indietro e mosse le dita come a dire: "Beh? Dov'è la tua mano? perché non sta stringendo la mia?" - e io strinsi la tua mano realizzando che proprio quello era il posto giusto dove doveva stare la mia mano: nella tua, semplicemente. 

E così un piccolo gesto mi spalancò le porte di un palazzo ricco di meraviglie e tesori, tutti col tuo nome, il tuo volto sopra. E a pensarci bene, non ho bisogno di una foglia per ricordare quel giorno. Ma questo l'ho capito dopo.

Ti amo, Anna

il tuo Sesto Gatto  

lunedì 2 novembre 2020

Lettere ad Anna 10 - Le maschere

 Anna, amore mio


lo sai qual è il tuo più grande regalo (regalo a me intendo)? È la mia vita e non è una esagerazione. è la realtà perché con te, per la prima volta da sempre, posso essere me stesso, semplicemente. Prima io non ero me stesso, ero una maschera, ero uno che ricopriva dei ruoli estranei perché non voleva, non poteva neanche, essere se stesso.


Da quando stiamo assieme, sono io e basta. E se guardo  nelle camere della mia storia, ce n'è una in cui sto buttando quei volti, quelle maschere, quelle "personae" che io ho utilizzato per non vivere la mia vita.


Il fatto è che sono cresciuto con la piena consapevolezza di essere diverso dagli altri, di volere e pensare altre cose, di non potermi identificare in ciò che era "vita" per un mucchio di gente, per la mia famiglia, per i miei compagni di scuola e per gli amici anche, a parte qualche mosca bianca, due, forse tre in tutta la mia vita. Al tempo stesso, però, volevo far parte, volevo non essere solo, volevo insomma essere come gli altri. ma non ci sono riuscito. Allora mi sono creato delle maschere, delle figure che mi permettessero di individuarmi, di essere, di assumere delle identità che non erano vere, o meglio erano anche vere, ma io dovevo portarle all'eccesso per dimostrare a tutti, a me stesso per primo che ero vivo e che ero se non qualcuno, almeno qualcosa.


In realtà, non sono mai stato qualcosa di falso, le mie maschere non erano false, erano più che altro delle esagerazioni delle varie parti della mia vita. non vere, quindi, ma neanche false. Difficile da spiegare. Vediamo, con degli esempi. Prendiamo la politica. Io sono cresciuto in un ambiente religioso e di destra. Quando ho iniziato a vedere le cose da un'altra ottica, non mi sono limitato ad essere uno di sinistra, no, dovevo essere un estremista, uno di quelli che o rivoluzione o niente, e anche quelle idee anarchiche e libertarie (che pure erano parti vere e reali di me ) diventavano una esagerazione che mi qualificava, che mi faceva assumere un ruolo e mi faceva identificare. Diventavo allora uno sì diverso, ma proprio diverso, estraneo, lontano dal sentire comune.


Lo stesso per il bere: birra e vino mi piacevano, mi piaceva l'ambiente dei bar e delle osterie, ma dovevo assumere un ruolo e allora dovevo essere quello che beve di più di tutti, senza ritegno, quello che fa tardi ogni notte e che vede la sbornia come la giusta condizione per affrontare il mondo (o per non accettarlo).


Insomma, con queste maschere io mi chiamavo fuori, ma fuori del tutto. Era come se dicessi: non posso essere come voi, ma neanche ci provo, anzi faccio di tutto per mettere un abisso tra voi e me.


Ovvio, amore mio, era una follia, erano tutte follie ma mi facevano sopravvivere. L'atteggiamento più pesante - anche da gestire- era proprio quel "o con me o contro di me"che ho utilizzato per tagliare i ponti con la realtà e al tempo stesso darmi ragione per averlo fatto.


Ma non devi credere che se stessi male, sai, Una volta avviato il processo le maschere sono comode, ti evitano di metterti in discussione, ti evitano di cambiare - anche quando dovresti.    E ne ho usate tante, qualcuna un po' alla volta è entrata a far parte di me, ha ingannato anche a me e così è successo che mi sono trovato a sentire di essere quello che non ero, ad un certo punto hanno per cosi dire preso il sopravvento e hanno condotto loro il ballo.


Ma con te no. Con te non ricordo di avere mai usato maschere, con te, fin dall'inizio, ero me stesso e questo perché, come un animale incontra un suo simile, sentivo che anche tu non eri come gli altri, anche tu eri diversa. La differenza era/è che tu affrontavi la diversita (tua) a viso aperto.


Comunque, non ricordo di essermi comportato con te in maniera falsa o vera/ falsa , mai. Neanche per lettera, per sms o quando ci incontravamo per caso. Forse non ti ho raccontato tutto quello che combinavo (ci mancherebbe!) ma ho sempre cercato di essere più possibile vicino a quel che sono veramente. Perché tu me lo permettevi, lo sentivo, sapevo che tu eri/sei  speciale e che mi avresti permesso di essere per così dire "chiamato con il mio nome".


E in questi anni di amore quello che mi hai donato è il non avere più paura, non sentire più il bisogno di essere diverso da quello che sono, quello che mi hai donato è una vita in cui non ho più maschere, ci voleva il tuo amore per aiutarmi a toglierle con tutti e in ogni occasione.


Mi hai reso e mi stai rendendo ogni giorno di più un uomo migliore, pieno di difetti e di magagne, per carità, ma difetti e magagne mie, reali. Tu mi hai donato la forza di accettare e di accettarmi, anche di riconoscere le cose buone e belle che ci possono essere in me e che per tanto tempo spesso ho scelto di non vedere, impegnato come ero a recitare questo a quel ruolo (ah, tutti ruoli negativi, certo, se no che gusto c'è…) e a indossare le mie maschere spesso una sopra l'altra.


Grazie amore mio, grazie per la mia vita


ti amo , Anna


il tuo Sesto Gatto