sabato 9 dicembre 2023

Presentazione di un libro (Cicero pro domo sua -ma non solo)

Torno a parlare di "Diffidate della realtà", ma stavolta voglio usare le parole del mio editore.Una della cosa che apprezzo di De Tomi è che quando presenta un libro non conciona come tanti altri su quanto è bello, imperdibile, fantastico, straordinario, No, lui presenta un libro secondo alcuni concetti che sono utili per il lettore (meglio. l'ipotetico lettore).E questi concetti sono:

  1. "Non aspettarti",  tanto per chiarire che cosa NON c'è dentro e far sì che il lettore non metta da parte subito il libro dopo le prime pagine, deluso e con la sensazione di essere stato preso in giro.
  2. "Ideale se ami", in modo che il lettore possa capire se quel libro è nelle sue corde e incontra i suoi gusti di stile 
  3. "Fai attenzione", un avvertimento perchè ci possono essere all'interno di un libro delle cose (linguaggio, argomenti, ecc.) che possono non risultare graditi a tutti.

Lo giudico un buon sistema, mette le cose in chiaro prima e dà al letttore dei buoni criteri per capire se quel libro fa per lui. 

E allora ecco come De Tomi presenta "Diffidate della realtà":

  1. Non aspettarti
    Racconti lunghi né caratterizzazioni profonde. "Diffidate della realtà" è un caleidoscopio di racconti brevi e impattanti, uniti da una ricetta speciale: la creatività dell'autore.
  2. Ideale se ami
    Narrazioni concise e sorprendenti, in grado di regalare emozioni intense in poche pagine. Ideale poi se ami autori come Italo Calvino per il quale, all'interno dell'opera, è presente un racconto "omaggio".
  3. Fai attenzione
    Uno dei fili che lega questi splendidi racconti e ricorre con maggiore frequenza è il tema della morte, affrontato talvolta in modo satirico, altre assurdo o addirittura giocoso.
Beh? potrebbe fare al caso vostro (o di qualche mica o amico?)
Se volete, lo trovate nel sito dell'editore ma anche su Feltrinelli online, IBS, Amazon, oppure potete chiedere al vosro libraio di fiducia, che è meglio di tutto (domani 10 dicembre è la Giornata delle Librerie Indipendenti!)

  • Non aspettarti

    Racconti lunghi né caratterizzazioni profonde. "Diffidate della realtà" è un caleidoscopio di racconti brevi e impattanti, uniti da una ricetta speciale: la creatività dell'autore.

  • Ideale se ami

    Narrazioni concise e sorprendenti, in grado di regalare emozioni intense in poche pagine. Ideale poi se ami autori come Italo Calvino per il quale, all'interno dell'opera, è presente un racconto "omaggio".

  • Fai attenzione

    Uno dei fili che lega questi splendidi racconti e ricorre con maggiore frequenza è il tema della morte, affrontato talvolta in modo satirico, altre assurdo o addirittura giocoso.

giovedì 7 dicembre 2023

Diffidate della realtà (ottimo per regali di Natale!)

Diffidate della realtà è una raccolta di racconti capace di dissolvere ogni certezza. Ogni capitolo è un gioiello dalle molteplici facce dove nulla va preso troppo seriamente, nemmeno la morte. Se sei alla ricerca di un’avventura letteraria questo libro rappresenta un'inestimabile opportunità, dove l'umorismo abbraccia la profondità con maestria, offrendo una prospettiva unica sulla vita stessa.

(giuro, non l'ho scritto io!)

In vendita sul sito di De Tomi editore (e non solo...)



venerdì 1 dicembre 2023

Elvira e Diodata


"...
Del gran pianeta sopra in vivo raggio
Stava una donna dolcemente vaga:
Seduta ell’era, e per lungo viaggio
Parea venir dalla celeste plaga:
Era'l suo sguardo accortamente saggio.
Angioletta fors' è? è forse maga?
Sclamai, che certo sì leggiadro viso
 Opra è d' incanto, o nacque in Paradiso.
 ...”


Nella saletta riservata sul retro della pasticceria, le amiche chiacchieravano senza che il vocio del bancone arrivasse a disturbarle. Erano in cinque, e ogni giovedì si davano appuntamento regolarmente in quella saletta accogliente, con tavoli in legno laccato e sedie Thonet, il perlinato alle pareti con appese sopra stampe d'epoca, una credenza anch'essa di legno laccato e sopra questa una vetrinetta dove erano esposte eleganti teiere in argento di stile inglese, un lampadario stile liberty, che forse faceva poca luce ma gli abat-jour a ridosso dei singoli tavoli provvedevano al resto.

Era un loro rito, trovarsi davanti ad un tè, una tisana, un cappuccino o anche una cioccolata, diete permettendo, a raccontarsi quello che era capitato nella settimana, che cosa avevano fatto, chi avevano visto, che cosa avevano sentito, anche, ma erano tutte storie abbastanza normali, erano semplicemente delle amiche, donne normali che conducevano vite normali: la casa, i figli, i mariti (erano tutte sposate, a parte Antonella, che stava divorziando), il lavoro, la televisione, la salute... cose di scarsa importanza, potrebbe magari pensare qualcuno senza considerare che la vita è fatta di tante piccole, banali cose che si attaccano l'una con l'altra e che è questo concatenarsi di cose piccole quello che crea e giustifica una intera esistenza.

Quel pomeriggio gli argomenti erano stati i mariti, soprattutto quello di Antonella. Poi erano passate a parlare del lavoro, dell'atteggiamento di uno o l'altro dei loro colleghi, e dopo ancora erano arrivate ai gatti, ai vicini che non amano i gatti, e a quant'è difficile trovare dei vicini raccomandabili... Parlavano una sopra l'altra, alzando più o meno la voce, con tono allegro oppure serio, magari anche arrabbiato ma sempre con una partecipazione viva: ognuna poteva e voleva dire la sua riguardo qualsiasi argomento.

Solo Elvira, al solito, rimaneva taciturna. Elvira, pensavano le amiche, era una che ascoltava, e non amava parlare né di sé né di altre cose. Elvira alle altre piaceva. Era una persona che non giudicava, ascoltava ma rispettava qualsiasi cosa le altre dicessero, soprattutto non faceva nessun tipo di pettegolezzo, e non metteva il naso nei fatti delle altre. Ogni tanto, quando una delle amiche la guardava o le domandava qualcosa, in genere scrollava le spalle e sorrideva, dicendo banalità di comodo, tipo “D'altronde... Le cose stanno così”, dando sempre ragione alle altre, oppure semplicemente faceva di sì con la testa, e invitava le altre a continuare i loro discorsi. Non che fosse reticente, questo no, se qualcuna le chiedeva di come andava il figlio a scuola, se al lavoro qualcuno dei colleghi le avesse mai fatto delle avances, se suo marito era uno di quelli che amavano passare le serate al bar con gli amici oppure stava a casa davanti alla televisione, lei rispondeva senza problemi, solo che raccontava le cose come se non la riguardassero, senza mostrare particolare attenzione, e sorrideva. Elvira sorrideva sempre.

Il fatto era che Elvira Colasanti coniugata Quadrelli, di anni 39, con un figlio di 15 anni e una bambina di 7, un lavoro come assistente amministrativa in Provincia, semplicemente non esisteva. Era da tanto tempo ormai che non esisteva. Da quando, stanca dei problemi, delle troppe responsabilità, di una vita che non le dava più alcuna soddisfazione, aveva deciso che lei non era più Elvira e aveva scelto di essere Diodata, la poetessa su cui aveva fatto la tesi di laurea, una poetessa che all'inizio l'aveva fatta sorridere per il suo stile ma che un po' alla volta aveva imparato ad apprezzare, una poetessa la cui lettura aveva continuato a tenere nascosta a tutti e che le era stata di conforto nei momenti anche più dolorosi e più pesanti che la vita le aveva riservato, la poetessa che alla fine aveva preso il suo posto. Perché Diodata non era solo un rifugio, una consolazione: Diodata era la sua stessa vita. Lei era Diodata, e basta.

Elvira non era morta, no, continuava a fare le cose che faceva prima, a badare alla casa e alla famiglia, a fare il suo lavoro in ufficio, a vedere gente e mandare avanti attività varie, ogni cosa come prima, sennonché tutto quello che faceva quella Elvira non la riguardava più, erano cose che venivano fatte in automatico, come respirare, cose che se uno non ci bada apposta non sa nemmeno di fare. Così, mentre Elvira si occupava di tutte le incombenze della vita, con le fatiche, i dolori e le miserie grandi e piccole che la vita comporta, Diodata se ne stava tranquilla e felice nel suo angolo, e le sue parole erano la vera, l'unica realtà che ci fosse:

"...
Il primo fior che rosseggiar qui miri
E' fresca rosa in sul mattin raccolta;
Dolce dolce nel sen par che le spiri
L' auretta alidorata in terra sciolta,
E nelle chiome in tortuosi giri
Ebe vezzosa l'ha sovente accolta,
..”


Sì, questo era Diodata. Era il mondo, l'universo, l'alfa e l'omega, un uroboro che si nutriva delle sue stesse parole e che non aveva bisogno di altro.

E anche adesso, mentre il medico di guardia le stava applicando dei punti, per il poliziotto che le chiedeva se era la prima volta che il marito la picchiava, l'unica risposta era un sorriso appena accennato dietro il labbro tumefatto, uno sguardo perduto chissà dove oltre gli occhi pesti cerchiati di nero:

“...
Que' grati fior, che la mia man coltiva
Solo ragion imparzial destina,
E del vizio per lunga età cattiva
Alma impura non soffro a me vicina.
..."


Perché quello che era successo non la riguardava, a Diodata non era capitato nulla, nulla sarebbe mai capitato a Diodata.



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Note
La contessa Rosa Ignazia Diodata Saluzzo Roero (1774-1840) è stata una letterata, scrittrice e poetessa italiana.  Testi tratti da: Versi di Diodata Saluzzo, Tomo I

Questo racconto si è classificato primo al Premio per le Arti Quia "Marta Redolfi" 2023 e pubblicato nell'antologia "Letterature per il nuovo millennio - Antologia delle esperienze italiane 2023", Quia ed., oltre che sulla rivista "Quia Magazine" di settembre 2023