martedì 21 dicembre 2021

Di corsa!


 Il Prato della Valle a Padova è una delle piazze più conosciute al mondo. Però chi pensa di vederlo ora come fosse sempre stato così, sbaglia. La forma che ha ora risale al 1797, e fino a quel tempo era stata una semplice spianata utilizzata per vari e diversi scopi: era stato luogo di riunioni  pubbliche e funzioni religiose, mercato (beh, questo è durato nei secoli...), sede di un teatro nel periodo romano, fiere di bestiame, ecc. ecc.

Venne anche utilizzato come pista per corse di cavalli (e non solo cavalli, come vedremo...) in ricorrenze particolari  a iniziare dal 1275 quando il comune stabilì che ogni 12 giugno (ricorrenza della caduta di Ezzelino) si tenesse una corsa di cavalli barberi (che qui si deve intendere come cavalli sciolti), e il premio al vincitore consisteva in un panno scarlatto lungo 12 braccia, chiamato palio, perché il pallium era il mantello rosso che Romani portavano sulle spalle. Un'altra occasione di corse celebrative fu, dopo il 1420, il 17 settembre di ogni anno, per festeggiare l'unione di Padova alla Serenissima. 

Alcune di queste corse non riguardavano solo i cavalli sciolti,  ma anche le corse dei cavalli con fantini, le corse molto popolari delle carrette o delle bighe, la corsa degli asini e la corsa delle... meretrici!  Personalmente, non ho mai avuto nessun altro riscontro né in Italia né nel resto del mondo  di  una corsa con questo genere di concorrenti,  anche se pare fosse molto apprezzata,  organizzata soprattutto per far bella figura ospiti illustri: le cronache ricordano che nel 1667,  in occasione dei festeggiamenti a Ferdinando Duca di Baviera e Carlo Emanuele di Savoia  che erano venuti a Padova ospiti di Pio Enea degli Obizzi,  venne organizzata " una solenne corsa di barberi, ronzini, asini e donne da partito" (termine abitualmente usato per definire le prostitute).

Certo, si trattava di una cosa ignobile, ma all'epoca il rispetto delle persone e della dignità umana era quello che era -soprattutto delle donne in generale, figuriamoci poi delle prostitute... Tempi andati, speriamo, anche se ogni tanto qualcosa del genere disgraziatamente salta ancora fuori. 


Cfr.  O. Brentani, Guida di Padova, 1891


PS
A dir la verità, erano importanti anche le corse dei lacché, ma di questo ne parleremo un'altra volta...


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se poi 'sto genere di roba piace...









lunedì 13 dicembre 2021

Successi letterari di grandi dittatori

Uno dei libri più venduti nella storia è stato senza dubbio il Libretto Rosso, ovvero le "Citazioni dalle opere del presidente Mao Tse-tung", pubblicate per la prima volta nel 1963, una raccolta di aforismi e citazioni di vario genere e argomento, dalla politica alla questione femminile all'allevamento nelle fattorie alla necessità di tenersi allenati nel lancio di granate. Libro must della Rivoluzione Culturale, negli anni della contestazione conobbe una enorme popolarità, venne tradotto e venduto praticamente dovunque (ne avevo anch'io una vecchia copia in una cassa in garage) e si stima che sia il secondo libro più più venduto dopo la Bibbia. 

Naturalmente, fu in Cina che il Libretto conobbe la sua massima diffusione anche se la sua popolarità era per così dire... diciamo un po' guidata, ecco. Certo, lo studio del pensiero di Mao non divenne mai ufficialmente un obbligo di legge, come il Ruhnama di Niyazov, però il fatto che fosse una materia scolastica obbligatoria in tutti i gradi e e dovunque si facesse formazione, dalle campagne alle fabbriche all'esercito, beh, sì, questo contribuì alla vendita del libro.

Un altro buon incentivo alle vendita fu che, anche se nemmeno l'obbligo di possesso dell'opera del Grande Timoniere fu mai sancito per legge..., beh, non era un caso che le dimensioni stesse del libretto fossero state studiate apposta per poterlo sistemare nella tasca superiore della zhongshanzhuang, la cosiddetta "giacca maoista" in uso all'epoca, (anche sui dittatori come influencer di moda ce ne sarebbe da dire...) così come non era un caso che le Guardie Rosse potessero chiedere a chiunque di esibire il libretto e di prendere a bastonate o addirittura spedire in campi di lavoro forzato (di "rieducazione") quelli che non l'avevano con sé.  Esempio di come talvolta alla libertà di scrittura si dovrebbe accompagnare la libertà di lettura...

Il Libretto Rosso conobbe diverse edizioni negli anni e diverse parodie (tra queste I pensieri del generale, spassose citazioni di De Gaulle, altro libercolo che avevo, chissà che fine ha fatto) e vanta anche diversi tentativi di imitazione, come lo slogan della Settimana Enigmistica.

Una di queste imitazioni fu quella di "Papa Doc" Duvalier, dittatore di Haiti, che, volendo entrare anch'egli nella rosa dei grandi scrittori rivoluzionari, nel 1968 diede alle stampe le sue Oeuvres essentiels, che imitavano il Libretto di Mao anche nelle dimensioni e nel colore rosso della copertina. Deluso dalle scarse vendite, non potendo servirsi di servigi come quelli delle Guardie Rosse (a differenza di queste ultime, che sapevano leggere e scrivere, i Tonton macoutes di Papa Doc difficilmente sarebbero stati in grado di distinguere le  Oeuvres essentiels da un fumetto di Topolino), il dittatore trovò ugualmente il modo di rendere popolare il proprio lavoro: fece consegnare una copia del libro a tutti i dipendenti statali -e fece pure trattenere 15 dollari dal salario di ognuno, ça va sans dire.


Fonti:

  • Wikipedia
  • K. Shaw, Power Mad!, Michael O'Mara books, 2004
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martedì 29 giugno 2021

Il violinista dimenticato


Anche se il suo nome viene pronunciato raramente e sempre con qualche imbarazzo da parte di critici e musicisti contemporanei, Gualberto Rigadoni è stato un violinista eccezionale, probabilmente il virtuoso più dotato e capace del ventesimo secolo.

Rigadoni iniziò a suonare il violino all'età di 3 anni e già a 5 si esibiva suonando sia da solista che in compagini orchestrali e prima di arrivare alla maggiore età aveva già raggiunto una fama tale da essere considerato alla pari se non superiore al grande Paganini.  Raccolse sempre enormi successi e unanimi riconoscimenti sia del pubblico che della critica anche se la sua capacità espressiva e la sua padronanza tecnica erano talmente eccelse da causare tra gli altri violinisti, anche quelli più importanti e quotati, una vera sindrome depressiva che in diversi casi portò al suicidio degli sventurati. 

Divenne anche enormemente ricco grazie ai suoi ingaggi per cifre esorbitanti, poteva chiedere qualunque cifra per le sue prestazioni ed era sempre accontentato, così come era richiestissimo e conteso da tutte le più prestigiose orchestre e rimase famosa nelle cronache la lite furibonda al foyer dell'Opera di Parigi tra Carlos Kleiber e Leonard Bernstein, finita a pugni e calci tra i due maestri che si contendevano la firma dell'artista.

Al culmine della sua gloria, per poter "vivere meglio" il proprio strumento, Rigadoni in una clinica svizzera si fece innestare il suo amato violino (un Guarneri del Gesù del 1737) direttamente sulla spalla sinistra, mentre la mano destra venne amputata e sostituita da un archetto in ebano. Il dover convivere con questi strumenti come appendici del suo corpo utilizzandoli anche durante le incombenze di vita normali, come guidare la macchina, lavarsi, mangiare, ecc., accrebbe ancor più la sua maestria e padronanza dello strumento anche se, va detto, non riuscì più a trovare un sarto che gli confezionasse un frac su misura ed era costretto ad esibirsi in accappatoio.

Pur attraverso le comprensibili critiche e accuse utilizzo di mezzi immorali, la scelta radicale operata del Rigadoni venne accettata in nome della indiscutibile qualità delle sue esecuzioni che raggiunse vette fino ad allora impensabili. Questa scelta fu però anche l'inizio della sua fine quando scoppiò lo scandalo Henriquez Dedoshierro, un chitarrista classico spagnolo che seguendo l'esempio del grande violinista si era fatto innestare al posto delle dita delle mani dei sottili plettri d'acciaio e che ebbe un'emorragia fatale scaccolandosi il naso.

Critici e nemici del Rigadoni tornarono all'attacco, l'opinione pubblica li seguì e in ogni stato vennero approvate leggi che vietarono gli innesti e trapianti nel corpo umano di strumenti  a scopo musicale. In questo modo, il violinista cadde in disgrazia, non trovò più nessun ingaggio e finì esibendosi per  pochi soldi come fenomeno da baraccone in piccoli circhi di periferia.







martedì 25 maggio 2021

L'odore dei pesci


I tutti i biografi sono concordi nello stabilire che fu quasi per caso che Olindo Martinoni divenne l'importante ricercatore che tutti conoscono e che ci lasciò il poderoso trattato "Odore dei pesci", ancor oggi riferimento unico e principe per tutti gli studiosi di psarimirodiologia.

All'epoca, nel 1922, il Martinoni era un semplice pescatore a fiocina che grazie alla potenza dei polmoni (poteva restare sott'acqua in apnea per oltre 10 minuti) si occupava anche del recupero di oggetti perduti in mare sul litorale toscano tra Piombino e Follonica. Fu qui che una mattina si imbatté in una squadra di studiosi dell'Università di Genova che cercavano di stabilire i tempi di decomposizione di una cernia in base al cambiamento di odore. 

Interpellato dagli studiosi per sapere da quanto tempo, in base alla propria esperienza, la cernia era stata pescata, Il Martinoni rispose che non si intendeva di pesci morti, lui quello che pescava lo portava subito al mercato, però fece loro notare che l'odore della cernia da viva, in mare, era alquanto diverso, era molto buono ricordava il gelsomino in fiore ma che, come tutti i pesci perdeva il suo odore quando usciva dall'acqua. Stupiti, gli studiosi vollero saperne di più e così scoprirono che l'uomo aveva la capacità unica di sentire gli odori anche sott'acqua, e la loro meraviglia a sua volta stupì il pescatore, che pensava fosse questa una capacità comune a tutti gli esseri umani.

Fu grazie a questo incontro che l'abilità del Martinoni venne adeguatamente sfruttata, e sotto la guida degli stessi studiosi iniziò un lavoro di ricerca e studio che durò per parecchi anni e che portò ad identificare l'odore naturale che i pesci hanno nel loro habitat. Quasi tutta la fauna ittica delle coste tirreniche e del mar Ligure venne annusata e opportunamente schedata, ed è solo grazie al Martinoni che possiamo sapere ad esempio che la spigola ha un odore pungente di erba tagliata, il cefalo invece profuma come le bucce di agrumi, il dentice ha un aroma penetrantedi pipì di gatto siamese,  il tonno sa di olio combusto, ecc. ecc...: gli appassionati possono sempre rifarsi allo studio già citato per avere riferimenti completi. 

Va detto che non fu una ricerca semplice e che ci furono studiosi (di altre università) che non vollero riconoscerne la piena validità scientifica in quanto non ci poteva essere alcuna verifica oggettiva, e insinuavano che la ricciola magari non odorava veramente di aceto di mele, come affermava il Martinoni, e che poteva anche odorare di pneumatico bruciato, o di sapone di Marsiglia. Col tempo però i detrattori, non potendo a loro volta confutare il lavoro fatto, ritirarono le loro accuse e ormai tutto il mondo scientifico è concorde nel riconoscere i meriti del pescatore toscano e la validità della ricerca svolta.

venerdì 21 maggio 2021

lunedì 17 maggio 2021

L'uomo che si scioglie

 L'uomo brodo

Come racconta egli stesso, fu nel periodo della pubertà che Evarisio Prabella  si accorse che in determinate occasioni, quando era accaldato per essere stato troppo al sole o dopo una partita di calcio con gli amici, la normale sudorazione non si fermava ma anzi persisteva e l'intero suo corpo tendeva a sciogliersi e tornava alla condizione originaria solo quando lui oppure l'ambiente attorno a lui subiva un raffreddamento.

Quando ne parlò a casa, allarmato perché pensava ad una grave malattia, fu suo padre a tranquillizzarlo spiegandogli che c'erano già stati diversi altri casi come il suo in famiglia e che non c'era niente di cui avere paura anche se, naturalmente, c'erano da prendere alcune necessarie precauzioni. In questo modo, con l'appoggio di tutta la famiglia, Evarisio fu pronto ad affrontare e convivere con il suo singolare disturbo quando questo, verso i vent'anni,  si stabilizzò e divenne cronico. 

Da quel periodo in avanti, fino a oggi e si spera per molti altri anni ancora, Evarisio Prabella  vive nella singolare condizione di potersi trasformare, in presenza di fonti di calore sia naturali che artificiali, in un vero e proprio brodo di carne. Per ovviare a questo, l'uomo porta sotto gli abiti un impianto di refrigerazione a batteria che mantiene il suo corpo ad una temperatura ideale di 1-2 gradi sopra lo zero, permettendogli in tal modo di aver una vita perfettamente normale, un buon lavoro e diverse attività sociali e culturali.

Quest'impianto di refrigerazione però alle volte diventa un po' fastidioso e allora, quando non ha obblighi di lavoro o di altro genere, Evarisio preferisce non utilizzarlo. La cosa in genere non crea problemi perché la sua trasformazione non avviene in modo immediato ma si sviluppa gradualmente e lui ha tutto il tempo di porci rimedio abbassando in qualche modo la temperatura del corpo o semplicemente recandosi in un luogo più freddo. Ad esempio, nel quartiere dove abita, soprattutto nelle afose giornate d'estate, capita di vederlo entrare nella bottega del macellaio per chiedere di ospitarlo per un po' nella cella frigorifera o di entrare in un bar e chiedere di poter accomodarsi nella cassa dei gelati fino al ripristino della sua condizione, e va detto che queste son richieste che vengono esaudite con piacere e lui è una persona simpatica, è benvoluto da tutti nel quartiere ed è un piacere stare in sua compagnia.

A casa però, nella tranquillità dell'ambiente domestico, confessa che gli piace alzare per un po' il termostato fino ad una temperatura attorno ai 26 gradi, perché a quella temperatura il suo corpo si trasforma in una specie di gelatina che, pur permettendogli le normali attività, gli risulta particolarmente gradevole e rilassante anche se deve stare attento a non addormentarsi davanti alla televisione per non risvegliarsi colato sul pavimento. E poi Evarisio, che non si è mai sposato e vive da solo, ama i bambini e i suoi nipotini sono sempre contenti di andare a trovare lo zio perché gli ficcano le dita nel corpo e ridono come matti quando tirano via di colpo il dito e il corpo dello zio fa "flusc!" quando si richiude. A dir la verità, le dita infilate gli fanno solletico, ma lui lascia fare perché gli piace troppo sentire i bambini ridere. 


Un prete fra le nuvole

Il prete della pioggia

Fulgenzio Battistini, nato nel 1902 e morto nel 1981,  fu un sacerdote per molti versi anomalo e altri versi un verso precursore: sono molti infatti al giorno d'oggi gli ecclesiastici che, vuoi per stare più vicino e fare da guida ai propri fedeli, vuoi per mantenere in esercizio il proprio corpo (considerato anch'esso un dono di Dio), si occupano attivamente di attività sportive di vario genere, ma Don Fulgenzio fu uno dei primi in queste attività.

Fin dagli anni del seminario infatti fu un valente alpinista, rocciatore, sciatore, marciatore e podista, ed ottenne persino una dispensa vescovile per poter frequentare palestre dove praticò con successo non solo svariate specialità di atletica ma anche pugilato, lotta greco-romana e sollevamento pesi. Nominato nel 1938 cappellano militare presso il Reggimento paracadutisti "Fanti dell'aria", Don Fulgenzio non esitò a seguire anch'egli i corsi di formazione e divenne anch'egli un paracadutista provetto tanto che, anche se naturalmente non partecipò direttamente alle azioni, seguì i militari in diverse operazioni  e missioni belliche.

Dopo la guerra, anche se non più inquadrato nell'esercito, il sacerdote continuò, sempre con apposita dispensa vescovile, a praticare il paracadutismo e divenne noto nell'ambiente come "Il prete della pioggia", per la sua singolare abitudine di farsi portare sopra annuvolamenti a bassa quota, forieri appunto di pioggia, e da lì lanciarsi, aprire il paracadute e poi atterrare passando attraverso le nuvole stesse.

Fu solo dopo la morte di Don Fulgenzio che si comprese il motivo di questa abitudine, quando il Vescovo da cui dipendeva -e che era l'unico a conoscerne il segreto, rivelò che il prete durante la discesa, nel momento dell'attraversamento delle nuvole, estraeva un aspersorio che teneva ben celato in uno zainetto frontale e procedeva alla benedizione della nuvola in cui si trovava. In questo modo la benedizione, secondo le intenzioni del sacerdote e del suo superiore, si sarebbe allargata a tutta la nube e, con la successiva pioggia, sarebbero state benedette una grandissima quantità di persone, animali, luoghi e cose che sarebbe stato praticamente impossibile benedire singolarmente.

A tutt'oggi le autorità ecclesiastiche non si sono ancora espresse su questa forma di benedizione, e la causa di beatificazione di Fulgenzio Battistini, nonostante le pressanti richieste del Vescovo prima e dei suoi successori poi, resta ancora in sospeso.


sabato 15 maggio 2021

Scuse




Quando accetti le scuse di qualcuno che ti ha fatto qualcosa, non fai altro che autorizzarlo a farlo di nuovo

mercoledì 12 maggio 2021

Vittima del muschio

Come ebbe a raccontare in una rara intervista concessa al settimanale "La Domenica Italiana" nel 1951, fu nel settembre del 1948 che Tarcisio Tavagnacchi si accorse che il muschio stava incominciando a crescere su di lui: all'inizio si era trattato di piccoli pezzi di muschio che si attaccavano alle scarpe e che poteva facilmente scuotere via, ma col tempo la crescita del muschio divenne sempre più aggressiva e incominciò a diventare un vero problema.

Infatti, il muschio prese a crescere sempre più in fretta e sempre più resistente e se non veniva strappato via, in poche ore cresceva rapidamente sopra il lato esterno della scarpa e si arrampicava poi lungo i calzini e la gamba, e il fatto che la crescita del muschio avvenisse all'esterno dei pantaloni e non all'interno complicava le cose perché era difficile tenere nascosta la cosa.

Fu in quel momento che cominciarono le disgrazie per il poveretto. Per prima fu la moglie ad abbandonarlo andandosene di casa con la figlia dodicenne per paura che si trattasse di una malattia contagiosa. Poi al lavoro il Tavagnacchi (che ricopriva il ruolo di impiegato semplice al Provveditorato), era costretto sempre più spesso ad allontanarsi dallo sportello per recarsi in bagno per strapparsi di dosso il muschio, attirando la curiosità dei colleghi che alla fine se ne accorsero e fecero rapporto e di conseguenza il Direttore, pensando comprensibilmente al disdoro che arrecava all' intero Istituto, fu costretto a licenziarlo.

Dopo un tentativo fallito di lavorare come fenomeno di baraccone in qualche circo (a nessuno piace star fermo delle ore a vedere il muschio che cresce, sia pure addosso ad una persona), il Tavagnacchi venne assunto da un'associazione di Giovani Esploratori che lo portavano con loro nelle escursioni utilizzandolo come bussola umana per individuare il nord. Purtroppo, un Capo Scout si accorse che sull’uomo il muschio non cresceva a nord, ma era lui stesso che si posizionava correttamente servendosi di nascosto di una normale bussola da pochi soldi e per questo venne licenziato anche da quest'ultimo lavoro.

Sopraffatto dalla vergogna e abbandonato da tutti, Tarcisio Tavagnacchi nel febbraio del 1952 si recò in un bosco sulle colline del Monferrato e lì si lasciò crescere addosso il muschio fino a morirne soffocato.




martedì 11 maggio 2021

Il segreto del ventriloquo

 Arminio Biccanti 

Il ventriloquo Arminio Biccanti, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, godette di una grande notorietà meravigliando con la sua abilità quasi prodigiosa il pubblico dei più importanti teatri europei ed arrivando ad essere richiesto e apprezzato presso le corti di Edoardo VII a Londra e dello zar Nicola II a Mosca.

La sua carriera però era iniziata in modo molto più modesto, esibendosi per pochi soldi in varietà di terz' ordine e in sagre paesane, e chi si ricorda di lui dice che era un ometto magro ed emaciato, che pur essendo bravo come ventriloquo, non era molto apprezzato per via di quello che diceva, sciocche e ripetitive banalità in un italiano sgrammaticato e con pesanti influssi dialettali, che era poi la forma in cui parlava abitualmente. 

Anni dopo però il Biccanti subì una trasformazione fisica che lo portò ad ingrassare in forma patologica e ad arrivare a pesare oltre 234 chilogrammi, e a questa malattia corrispose una evoluzione non solo nella qualità della dizione e della pronuncia nelle sue performances ma anche e soprattutto nel contenuto di quello che diceva. 

Infatti, mentre nella sua parlata normale era rimasto lo stesso, quando si esibiva come ventriloquo mostrava una completa padronanza e proprietà di linguaggio e discettava di argomenti e temi elevati, principalmente nell'ambito della filosofia e della teologia, con profonde analisi e riflessioni su cui ebbe a confrontarsi con illustri professori e studiosi di rinomate università e altri istituti accademici in Italia, Francia, Germania, Austria. .

Quando Arminio Biccanti morì ancor giovane a 38 anni nel 1913, fu disposta l'autopsia e si scoprì allora che in realtà le incredibili capacità erano dovute alla presenza, all'interno del suo intestino, di una particolare specie di tenia loquens, un verme solitario che diversi ventriloqui dell'epoca si procuravano da allevatori privi di scrupoli ed addestravano a parlare al loro posto ingannando in questo modo il proprio pubblico.

La singolarità della tenia che viveva nel ventriloquo era che ad un certo punto aveva smesso di interessarsi al cibo e si era dedicata completamente agli studi umanistici, con risultati sorprendenti che però Arminio Biccanti non esitò a spacciare come propri. Purtroppo il verme morì assieme all'impostore, ma ci consola il fatto che comunque ci lasciò -attraverso il suo ospite- una serie di importanti dissertazioni che (opportunamente trascritte e pubblicate) sono tuttora oggetto di studio.  In particolare, non si possono non citare almeno le più importanti, e cioè: "Aspetti epistemologici e gnoseologici nel determinismo nel primo Aristotele" e "Relatività ed oggettività della trascendenza nell' Über den Gebrauch teleologischer Principien in der Philosophie di Kant"




lunedì 10 maggio 2021

statistiche

 


Secondo le statistiche, ogni italiano nel 2019 in media ha bevuto circa 22 litri di vino, 31 litri di birra e 3 litri di superalcolici.

Quello che una volta per noi era "una bella serata"


Anonimo

martedì 4 maggio 2021

lunedì 3 maggio 2021

Quando il gioco si fa duro


 D'accordo, d'accordo...

... Big Pharma non è fatta da stinchi di santo e quando ti dicono è per i costi della ricerca che mettono ai farmaci prezzi da capogiro, sai che è una gran bella scusa per dei guadagni a dir poco vergognosi. Però la ricerca la fanno, e alle volte hanno anche dei risultati -magari per una botta di fortuna ma li hanno.

Nel 1989 in Inghilterra, un gruppo di ricercatori della Pfizer sintetizzò un composto (Sildenafil UK-92.480) studiato per essere impiegato come cura contro l'ipertensione e l'angina pectoris. I successivi test clinici condotti a Swansea furono però un flop totale e i test vennero interrotti. Soldi e tempo buttati, pensò Ian Osterloh, capo del team di ricerca, ma dovette ricredersi quando i soggetti su cui era stato sperimentato il farmaco nonostante la dimostrata inutilità protestarono vivamente e dissero che no, non se ne parlava neanche di  interrompere la "cura"! 

Il motivo? Per via degli effetti collaterali, anzi per via di uno specifico effetto particolare, quello di provocare ai maschietti erezioni più dure, più forti e di maggior durata. Così i marpioni della Pfizer lasciarono perdere ipertensione ed angina pectoris e commercializzarono il farmaco per tutt'altro scopo: era nato il Viagra.

 


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se poi 'sto genere di roba piace...

mercoledì 28 aprile 2021

Successo


Il segreto per avere successo nella vita è vedere i tuoi problemi  come se fossero problemi altrui.

E poi farli diventare tali.

martedì 27 aprile 2021

Struzzi


Fare lo struzzo e mettere la testa sotto la sabbia può anche essere comodo - ma non dimenticare che resti fuori col c***

Perdono



 Ho perdonato e dimenticato, ma non dimenticherò mai di averti perdonato

Donne e uomini

 

Non è che gli uomini siano più stupidi delle donne.
Pare così solo quando li metti a confronto.


lunedì 26 aprile 2021

Melchiorre Buiosi

Il ladro d'ombre

Il 26 aprile 1961 moriva in carcere Melchiorre Buiosi, il più famoso ladro di ombre della prima metà del XX secolo.

Il Buiosi  divenne famoso perché, a differenza dei comuni ladri di ombre, non utilizzava una forbice da ombre con cui tagliare l'ombra ai bordi delle scarpe della vittima, bensì un sistema unico che finora nessuno è mai riuscito ad emulare.

Il Buiosi inventò infatti una colla particolare con cui spalmava la propria ombra prima di uscire in caccia, e i suoi obiettivi favoriti erano le persone distratte (specialmente turisti) ferme controsole ad osservare panorami, monumenti o altro. Quando trovava la persona giusta gli si poneva rapidamente alle spalle, in modo da sovrapporre la propria ombra a quella dello sventurato che rimaneva incollata e poi, con un colpo secco, strappava l'ombra della vittima e se la portava via attaccata alla propria senza che la vittima avvertisse nient'altro che un leggero brivido momentaneo. 

Melchiorre Buiosi venne arrestato alla stazione di Ferrara nel 1946, mentre si apprestava a salire su un treno diretto a Roma: impacciato e lento nel salire sulla vettura, venne aiutato dal capostazione che però si accorse di qualcosa di anomalo e fece intervenire la Polizia Ferroviaria. Portato nell'Ufficio della stazione, gli agenti constatarono che la lentezza e l'impaccio del viaggiatore erano causate del gran peso delle ombre rubate che portava attaccate alla sua e questa fu la fine del criminale.

Come appurato nel corso del processo, attaccate all'ombra del Buiosi furono trovate 658 ombre rubate nel corso degli anni, le quali però si erano ormai talmente saldate fra loro a causa della colla che non fu possibile staccarle e restituirle ai legittimi proprietari. Condannato a 22 anni, il Buiosi non manifestò mai alcuna traccia di pentimento e morì in cella senza aver mai rivelato a nessuno la formula della sua colla o l'esistenza di un qualche solvente.


sabato 24 aprile 2021

Paranoia


Solo perché sono paranoico non vuol dire che non sia vero
che tutti ce l'hanno con me.

La verità


La verità è un bene prezioso. Per questo va usata con parsimonia.

RB


giovedì 11 marzo 2021

Lettere ad Anna 17 - Ritrovare oggetti mai perduti

Anna, amore mio

di te, dello stare insieme a te una volta ho scritto: “Anna: la gioia di ritrovare un oggetto caro che non hai ancora perduto.”- A onor del vero, non mi è molto chiaro cosa voglia dire, cosa vuoi, tante volte sono ermetico e misterioso anche con me.

Comunque, volevo dare l’idea di un trovare di nuovo una cosa che però non avevi ma che amavi anche senza conoscere. Incasinata ‘sta frase, vero? Ma non so dire meglio. Ti cercavo ma non sapevo di cercarti, ti cercavo ma tu eri già là, e lo stupore di trovarti è stato quello di scoprire che eri già con me, che -in un certo senso- sei sempre stata con me e non te ne eri mai andata da… 42 anni, giusto?

Eppure si, lo sapevo che c’eri, anche se per anni anni sei rimasta un ombra confusa,  sapevo che c’eri anche se non ti avevo ancora dato un nome. Perché a fronte delle mie maschere, della mia ipocrisia nel negare l’amore e al tempo stesso sentirne la necessità, il bisogno, a fronte delle cose inutili e pesanti che utilizzavo per non vivere, a fronte di tutte le mie paure sapevo in fondo al cuore che tu da qualche parte esistevi, e che era destino (destino, beh… sai come la penso del destino!) che ti incontrassi.

Così, anche anche senza conoscere il colore dei tuoi, ti cercavo negli occhi di ogni donna che incontravo, ti immaginavo e ti sognavo, non sai per quanti giorni per quante notti, se ti dico per quanto tempo forse non ci crederesti. Perché ho iniziato a cercarti tanto, tanto tempo fa. Ti ho cercata anche in altre donne, certo, ma non eri tu, e restavano parole non dette e gesti non fatti, amori o presunti tali che si rivelavano incompleti, con sempre qualcosa che non trovavo, come un quadro che si, ti piace anche, ma nell’insieme ha qualcosa che non va, dei particolari che messi assieme ti fanno capire che è una crosta e che in realtà non ha nessun valore, è roba da poco, e il suo posto è nella bottega di un rigattiere da quattro soldi.

Quindi non mi sono mai fermato, trovavo sempre un’altra strada da percorrere per poi accorgermi che anche la strada nuova non portava da nessuna parte. Certo, ho amato e sono stato riamato ma -l’ho capito dopo- almeno per me erano amori monchi, zoppi, che alla fine ho smesso di provare per non fare più del male ad altre donne, come purtroppo mi era capitato di fare anche non per colpa o volontà mia.

Questo non significava che avessi smesso di credere che da qualche parte ci fosse l’amore che, in fondo al mio cuore , sapevo di meritare.

Quando, dopo l’infarto, scrissi che ero “pronto e disponibile a trovare una donna da amare da cui essere amato” mi resi conto che la ricerca stava per finire, che realmente non dovevo più sforzarmi di guardarmi attorno, di provare, tentare con questa o quell’altra. Sentivo che la cosa era definitiva, era scritta e stava per arrivare. Non sapevo né come né dove né quando ma ne ero sicuro. Mi ero dato una ripulita al corpo e allo spirito. Ero pronto. E sei arrivata tu.

Ti amo Anna

il tuo Sesto Gatto

mercoledì 10 marzo 2021

Lettere ad Anna 16 - La musa e l’artista mancato

Anna, amore mio

mi rendo conto che dire che queste lettere sono sgangherate, inconcludenti, rotte, ripetitive, senza capo né coda, mi accorgo che ripeto le cose (beh, non solo in queste lettere, se è per questo), che mi perdo nei discorsi, che parlo parlo e non arrivo mai da nessuna parte… Tutto per girare attorno all’unico filo logico che c’è in tutto questo sbrodolio di parole, e cioè il fatto che ti amo e che non so mai come dirtelo.

Mi piacerebbe saper dipingere, e ritrarti in mille pose, in mille ambienti e con mille diversi vestiti, di notte di giorno all’alba al tramonto, con il sole la pioggia il vento il caldo il freddo, eccetera eccetera. Purtroppo non so dipingere. Sfiga. Mi piacerebbe essere un musicista, dedicarti serenate e ballate e melodie che potrebbero far piangere anche il demonio, note struggenti e commoventi oppure epiche, gioiose, festose e ridenti – ammesso che la musica possa essere ridente. E invece niente, non so dipingere, non so disegnare e sono capace di suonare solo il campanello quando arrivo da te, e lo suono tanto bene che manco lo senti alle volte… quindi niente pittura, niente musica, niente scultura, l’unica roba che so fare è scrivere, e questo è il motivo di queste lettere, non ho altro modo di lasciare traccia del mio amore, Anna, quindi scrivo.

Che poi quello che scrivo ti piaccia, è quello che spero, e se una sola di queste lettere ti farà un po’ sorridere, ecco, questo mi rende già felice.

ti amo Anna,

il tuo Sesto Gatto 

lunedì 8 marzo 2021

Lettere ad Anna 15 - Un letto di felicità

Anna, amore mio

come tu ben sai, la tua famiglia (tua madre e tuo padre, intendo) mi piaceva. erano brave persone, magari non le conoscevo bene, ma era lo stesso convinto che fossero una bella coppia. In effetti tu stessa porti su di te l’imprinting di una crescita felice, serena, con persone che ti amavano e si amavano.

Tuo padre l’ho visto poco, conoscevo meglio tua mamma, ma l’impressione, l’aura che la circondava dava proprio l’idea di una donna felice, felice come moglie e come madre. E poi, diciamocelo, tu non potresti ridere come ridi se non fossi cresciuta in mezzo a risate, tra persone che sanno guardare la vita dal lato giusto e nella giusta prospettiva.

Ecco, ho avuto la conferma di questo nelle foto di famiglia che tieni in soggiorno e che ho sbirciato curioso mentre tu magari ti stavi preparando per uscire e io ti aspettavo senza sapere bene che fare. Mi piaceva ritrovarti nelle foto, vederti come eri quando ti ho conosciuta e come eri poi nelle varie nelle varie fasi della tua vita, comprese quelle fasi che mi sono perso e che non so se voglio ricostruire.

Comunque, ce ne sono alcune tra queste foto che mi hanno fatto un effetto particolare. Sono foto di te e dei tuoi quando avevi pochi mesi, a T. e sono sicuro di non sbagliare perché c’era la data scritta dietro, come si usava tempo fa. Ecco, a parte la luminosità del viso di tua mamma, che ricorda il tuo in certi momenti di felicità, e a parte il fatto che in un paio di queste foto tu sorridi già con lo stesso sorriso che hai ora, e sei già stupenda, una mi ha dato un senso di vertigine: tu sei, o meglio: ti hanno sistemata, sopra un letto, e quel letto è lo stesso dove ora dormiamo noi! e questo mi ha dato, mi dà anche adesso, un senso di continuità delle cose che non è mai stato nelle mie corde.

Pensare che in quel letto ci sia stata tanta felicità tanti anni fa e che ora in quel letto ci sia di nuovo la felicità in noi due assieme… è come se ci fosse, nel tempo e nello spazio, un filo che sottende una storia lunga una vita, un filo d’amore di bellezza e di armonia che, anche se certamente minacciato e talvolta rovinato da dolori e dispiaceri, non si è mai rotto del tutto, più o meno come il filo che ha legato te a me in tutti questi lunghi anni, quel filo che mi porta a considerare noi due come una vecchia coppia, anche se in realtà sono pochi anni, tre, che stiamo assieme.

Sapere poi che adesso, tra pochi minuti, ti preparerò il caffè e te lo porterò a letto come ogni giorno, e sapere al tempo stesso che – come tu mi hai detto- è la stessa cosa che faceva tuo padre a tua madre, beh, la vertigine è completa e mi ritrovo completamente sopraffatto dall’armonia di questa stupenda realtà che stiamo vivendo assieme

Ti amo Anna

il tuo Sesto Gatto

mercoledì 3 marzo 2021

Lettere ad Anna 14 - Il nuovo e il bello

 Anna, amore mio

Il fatto è che con te ogni cosa è fuori del normale, anche le azioni e le cose uguali, ogni volta è come se capitassero per la prima volta, e sono sempre fonte di meraviglia.

Certo, la meraviglia più grande è che tu possa amare un tipo come me, che aveva fatto della solitudine, della misantropia e della misoginia delle bandiere, che non ha mai preso sul serio la vita anzi ha sempre preso in giro chi lo faceva. Questa è una meraviglia del tipo “No, scherziamo, io con te?”

Ma poi c’è un’altra meraviglia, anzi una serie continua di meraviglie, tu che prendi le cose normali e la rendi straordinarie, uniche e irripetibili. Tu arrivi, scuoti quello che io chiamo il caleidoscopio della vita e le cose cambiano diventano più luminose, più calde, soprattutto nuove (più nuove suona male, no? o una cosa è nuova oppure no…).

Ecco, il nuovo e il bello assieme, lo stupore e la gioia di vedere incontrare le cose come se fosse la prima volta, perché a queste – magari conosciute, banali e stantie- tu doni una magia che le trasforma e rinnova.

Quando mangio con te, il cibo e il vino sono più buoni, se mi fermo a guardare il tramonto con te (albe poche, chissà perché …) è più bello e mi va dritto nel cuore, se ascolto musica con te è più armoniosa più espressiva… niente da fare, tutto, ma proprio tutto, con te diventa migliore, diventa uno strano incanto… Tò, pensa a tutte le volte che abbiamo camminato per Padova mano nella mano… pietre, palazzi, case, strade, anche persone che conosco da una vita con te si tramutano e mi danno sensazioni, addirittura emozioni, che non avevo provato prima.

Ecco, forse la chiave per capire ‘sto fenomeno è proprio questa: emozioni.

La prima volta che siamo usciti assieme, tu per tante cose mi dicevi che erano emozioni, e io non capivo. arrivato a una età come la mia, mi ero costruita una corazza di cinismo, di distacco è indifferenza per cui tutte le cose apparivano distanti, superficiali, poco degne di interesse. Sì, magari apprezzavo il bello, mi piaceva, ma sempre fino a un certo punto. Non lasciavo che le cose per quanto belle e piacevoli mi coinvolgessero più di tanto.

Ti ricordi la mostra di Van Gogh che siamo andati a vedere assieme? Beh, non era certo la prima volta che vedevo opere del genere, mi è sempre piaciuto girare per musei, leggere libri d’arte, godermi il bello, e pure quando provavo di fronte a questo o a quel quadro, a questa o quella opera, delle sensazioni che potevano anche essere scambiate per embrioni di emozioni, le cacciavo giù subito, sempre per non farmi coinvolgere e, ma questo l’ho capito dopo, con te, mi sono perso la loro vera natura. A quella mostra me ne resi conto appieno, io vivevo quelle opere, quei dipinti proprio perché tu mi tenevi per mano, mi eri vicina, il tuo amore faceva cadere le mie paure e mi sentivo libero di provare emozioni. e non era certo merito di Van Gogh, no… eri tu, tu con la tua magia che rende le cose ordinarie degli eventi straordinari.

E la tua magia è quella che ha dipinto il quadro più bello, il quadro in cui io – assieme e grazie a te – divento una persona vera.

Ti amo Anna
il tuo Sesto Gatto

lunedì 1 marzo 2021

Lettere ad Anna 13 - Tu e le altre


Anna amore mio

c’è un’altra cosa che ti rende unica e, per così dire (ma non montarti la testa!), sopra le altre donne della mia vita, ed è che te, proprio te, ti ho voluta.

Mi spiego: per tanti anni, proprio tanti, nei miei diari e nelle mie meditazioni, esercizi e quant’ altro, mi è capitato di chiedere all’ universo, a Dio, al mio Sè superiore, insomma all’ energia cosmica, allo spirito, qualunque cosa sia e qualunque nome abbia (ammesso che ne abbia uno), ho chiesto – ripeto- una donna da amare e da cui essere amato. E l’universo, o chi per esso, rispondeva e mi sono trovato a vivere delle relazioni, dei rapporti, con donne che, però, non avevo cercato. e nemmeno voluto.

Succedeva che uscivo con qualcuna di queste, ci sentivamo e poi nasceva una relazione (beh, diciamo che poteva nascere…) sulla quale io mettevo subito dei paletti mettendo in chiaro che non ero in cerca di una relazione seria né tanto meno di mettere su famiglia. E questo è anche il motivo per cui erano (sono state) sempre loro a dichiararsi per prime- Vero, ti ho detto che è una tecnica di noi maschietti quella di non dichiararsi per primi, per poter dopo dire “Hai fatto tutto tu” – ma nel mio caso la questione è stata che con tutte (mica tante, intendiamoci! non sono mai stato un drago con le donne… le mie relazioni “serie” si contano sulle dita di una mano… ) il primo passo hanno fatto loro, fin da quando avevo 20 anni o giù di lì. Io semplicemente mi adeguo, seguo la corrente che però, in qualche modo, non ero stato io a guidare.

Non devi credere che non ci fosse affetto, anzi in certi ce ne è è stato fin troppo, ma veniva dopo, col tempo, con la vicinanza. E poi, ovviamente, si trattava di donne che n on mi erano indifferenti, per le quali un po’ di attrazione già ce l’avevo. e non credo neanche di essermi mai comportato da bastardo, magari ho causato del dolore ma senza volerlo, perché me ne andavo (o mi piantavano loro) prima che la cosa diventasse impegnativa e troppo coinvolgente, totalizzante.

Quando cerco di capire il perché di questa situazione, La cosa che mi viene in mente è che io chiedevo “una donna da amare… eccetera”. ma lo chiedevo in forma generica, senza specificare nulla di preciso, né Che tipo di donna volevo, né come, quando o perché. Era nel limbo, qualcosa di non definito, chiedevo in una forma astratta, chiedevo forse un fantasma, un’immagine indistinta. chiedevo “una donna”non “la donna”.

Quando però nel marzo del 2017 incominciammo a vederci, a uscire assieme, la mia richiesta all’ universo cambiò: non volevo più “una donna”. volevo Anna. e in tutti i miei quaderni da quel momento in poi, in tutte le mie visualizzazioni, in tutto quello che ho praticavo, mettevo il tuo volto e il tuo nome.

La ricerca era finita, non andava più a casaccio o a tentoni, basta tentativi, basta illusioni più o meno gradevoli: eri tu, c’eri tu, e la strada si è illuminata, la direzione da prendere era una, una sola quella che mi portava/mi ha portato a te.

Ti amo Anna

il tuo Sesto Gatto