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sabato 4 giugno 2022

La Chiave Esagonale della Brianza

Probabilmente mai nessun soprannome fu più azzeccato di quello attribuito a Giuseppino Brugola, conosciuto da tutti come "La Multipla della Brianza", che dagli anni '20 del secolo scorso fino al dopoguerra fu l'operaio specializzato in fissaggio più noto e apprezzato di tutto il Nord Italia: ogni officina, ogni fabbrica grande e piccola si faceva onore e vanto di poter usufruire delle sue leggendarie abilità. In realtà, lui avrebbe preferito essere chiamato "La Chiave Esagonale della Brianza", perché è vero che la sua area di lavoro era soprattutto la Brianza ed è vero che poteva fissare ogni tipo di dado, però la sua specializzazione e la sua passione, quella in cui dava il meglio di sé con performances memorabili, era il fissaggio di dadi esagonali di misura compresa da 11/16" a 5 e 3/4" pollici. 

Quello che rendeva unico il lavoro del Brugola era la sua perizia nel procedere al fissaggio di qualsiasi tipo di dado utilizzando solamente le dita della mano destra, unendo alla forza fisica necessaria all'operazione una delicatezza, una sensibilità tale che rendeva i suoi fissaggi di una precisione assoluta, dal momento all'epoca non c'era nessuna strumentazione né alcun strumento in grado di controllare e stabilire il punto esatto in cui si doveva fermare il lavoro di avvitamento senza che fosse né troppo lasco né troppo stretto. In quegli anni, i dadi fissati da Giuseppino Brugola rappresentarono la perfezione e ancor oggi sono oggetto di studi (alcuni di essi sono ancora conservati con cura nel Museo dell'Officina a Pedalate) e nemmeno i più moderni dadi ciechi autobloccanti sono in grado di reggere il paragone con questi.

In una lunga intervista rilasciata a "La Domenica Italiana" nel 1962, quando ormai era pensionato, Giuseppino Brugola raccontò che nel suo lavoro si serviva anche di una ulteriore e irripetibile capacità, cioè quella di essere in grado, alla bisogna, di secernere da sotto le unghie un liquido denso e oleoso, che gli serviva sia in fase di avvitamento che di eventuale svitamento, ma che la sua modestia e la volontà di non umiliare i colleghi gli aveva impedito di rivelare la cosa all'epoca della sua massima fama.

Nella stessa intervista, confessò anche il suo rimpianto per non avere avuto un figlio per potergli trasmettere e insegnare quella che per lui era un'arte, e questo perché tutte le sue fidanzate dopo qualche tempo lo lasciavano perché le sue carezze erano sì amorose e delicate, ma le sue mani, dicevano, "emanavano un forte, insopportabile odore di olio di officina".