C'era una volta un bambino che viveva in una grande casa, dove non gli mancava nulla.
La mamma gli preparava cose buone da mangiare ogni giorno, andava
a scuola con i suoi amici, giocando e facendosi scherzi a vicenda con tante
risate, finita la scuola, tornavano sempre assieme a casa e sempre giocando e
scherzando. A tavola, c'era anche il papa che voleva molto bene al bambino, non
lo sgridava mai -o quasi, però lo sgridava solo quando se lo meritava e senza
mai alzare neanche la voce.
Dopo pranzo, andava a giocare con i suoi amici fino a sera e se
qualche volta prima non faceva i compiti..., beh, quella era una delle volte in
cui il papà lo sgridava.
A quel bambino, insomma, non mancava niente, anche.se non era
contento del tutto.
Il fatto era che, quando si fermavano sudati per riposarsi di
tutte le corse e i salti fatti giocando, i suoi amici parlavano di cose che lui
non interessavano. Parlavano di macchine, di quanto grande era e quanto correva
quel nuovo modello, parlavano di che macchina volevano comprarsi da grandi...
Oppure parlavano di calcio, di questo o quel giocatore, di quanto costava (tanto!)
e di quanti gol faceva. E siccome poi i suoi amici facevano il tifo per squadre
diverse, litigavano -sempre per gioco- e si prendevano in giro quando quella
squadra aveva perso oppure si vantavano quando l'altra squadra vinceva, proprio
come.se fossero stati loro a giocare in campo.
Ecco, in questi momenti il bambino.se ne stava zitto ad
ascoltare, perché voleva bene ai suoi amici, ma quelle cose proprio non gli
interessavano.
Eh sì che ci aveva anche provato a farsele piacere, si era fatto
comprare le figurine dei calciatori, si guardava e leggeva -per quello che
capiva, almeno- le riviste di suo fratello più grande, dove c'erano belle foto
di macchine e dove dicevano quanto correvano, che gare avevano vinto, cose così.
Ma non c'era niente da fare: quelle cose continuavano a non interessarlo, per
lui erano di una noia mortale.
Un giorno, mentre stavano giocando nel parco vicino a casa,
scoppiò un brutto temporale con lampi, tuoni e tanta, tanta pioggia. Si
ripararono tutti sotto una tettoia facendo a gara a spingersi fuori finché la
pioggia cessò e il cielo da nero e blu che era stato tornò chiaro e sereno.
A quel punto, nel cielo comprarve un arcobaleno, il più bell’arcobaleno
che si sia mai visto.
Allora, tutti uscirono sotto l'ultima goccia di pioggia e. guardando
l’arcobaleno fecero: “Ooohhh...” e restarono fermi a guardarlo meravigliati. Ma
durò poco, perché uno disse: “Sapete, ho letto in un libro che alla fine
dell'arcobaleno c'è sempre una pentola piena di monete d'oro, una pentola
protetta da uno gnomo che non vuole che gliela rubino.”
“E chi se ne importa dello gnomo?” fece un altro “io arrivo là,
prendo lo gnomo a calci nel sedere e mi porto via l'oro, così poi mi compro una
bella macchina.” “E allora vengo anch'io, prendo anch'io l’oro” si intromise un
altro “e così mi compro anch'io la macchina, e anche una casa grande e bella
come quelle che fanno vedere in televisione” e un altro ancora: “E io invece mi
compro tutta una squadra di calcio, tutta per me, e se i giocatori non vincono,
con l’oro me ne compro altri e gli altri li vendo e faccio altri soldi...”
E via, come al solito si era tornati a parlare di cose che al
bambino non interessavano. Il bambino era rimasto zitto a guardare l'arcobaleno
nel cielo e anche quando questo svanì continuo a vederlo con gli occhi della
mente, lo vedeva ad occhi chiusi, e si immaginava che l'arcobaleno fosse un
ponte, un ponte da attraversare per andare in luoghi nuovi, mai visti prima, in
paese pieno di meraviglie dove la gente era strana, vestita con abiti strani,
faceva cose strane che poi tutto era strano, ma bello e affascinante, non
faceva paura. Si immaginava di salire su per l'arcobaleno e di lasciare giù,
sotto, la città che conosceva bene, con le sue macchine, le sue case, la gente sempre
di fretta che leggeva il giornale e parlava -anche quella- di calcio, di
macchine e di cosa fare se avessero avuto un mucchio di soldi.
Così, l'arcobaleno divenne suo amico e da quel giorno, quando
era da solo nella sua cameretta, gli bastava chiudere gli occhi per vedere il
nuovo l'arcobaleno, per salirci sopra e attraversarlo per arrivare in paesi
sempre nuovi, pieni di meraviglie sempre nuove, dove succedevano sempre cose
nuove. Era il suo divertimento personale, non ne parlava con nessuno e se lo
teneva tutto per sé.
Un giorno però, mentre teneva gli occhi chiusi, l’arcobaleno
apparve ma… era rovescio! Era tutto rovescio! Come poteva essere?
Il bambino riapri gli occhi, controllò di essere nella sua
cameretta e poi li richiuse, ma l'arcobaleno era ancora là, ed era ancora
rovescio. Pensò allora di poterlo girare ma mentre ci provava senti una vocina
che gli diceva: “No, non toccarlo! Lascialo così, a me piace così.”
Il bambino riaprì gli occhi perché pensava di essersi
addormentato, di stare sognando, ma senti ancora la vocina che diceva, in tono
allegro e amichevole: “No, non stai sognando. Sei proprio sveglio, nella tua
cameretta, e se guardi fuori dalla finestra vedrai che è pomeriggio e c'è
ancora il sole.”
Il bambino allora si spaventò davvero, perché pensava di essere
diventato matto, e sapeva che ai matti capitano brutte cose. Ma la vocina
continuò: “Nooo, non sei neanche matto! Non avere paura, va tutto bene, sai.”
La voce era così allegra, da bambina, e il tono così piacevole
che il bambino prese coraggio e domandò: “Ma tu chi sei? Dove sei? Non vedo
nessuno qui!”
“Io sono la fata Annina, e non mi puoi vedere perché... beh,
perché io sono sì in questo mondo ma al tempo stesso non ci sono. Insomma, è
una cosa complicata da spiegare e forse non so neanche io bene come funziona,
ma è proprio così e magari più avanti lo capirai anche tu”
“E cosa ci fai qui?”
“Sono qui perché mi piacciono gli arcobaleni e ancor di più mi
piacciono quelli che ci camminano sopra per andare da un'altra parte. Quelli
come te, insomma.”
“Ma perché vedo l’arcobaleno rovesciato?”
“Perché quello è il mio arcobaleno, è con quello che sono
arrivata qui. E adesso per favore chiudi di nuovo gli occhi e torniamo a
guardare questo arcobaleno.”
Il bambino obbedì e subito apparve l'arcobaleno della fata,
naturalmente sempre rovesciato.
“Ma cosa te ne fai tu di questo arcobaleno rovesciato” chiese
allora il bambino che ormai era entrato in confidenza con la fata “non puoi
andare da nessuna parte con un arcobaleno rovesciato!”
“Dici? Mmm... Veramente sono venuta qua proprio per capire se tu
puoi farci qualcosa. Vediamo, se non puoi usarlo come ponte, a cosa ti può servire
un arcobaleno rovesciato?
Il bambino ci pensò un attimo, ma proprio poco poco, e poi
rispose, sempre tenendo gli occhi chiusi: “Non è più un ponte. È una barca, una
barca che serve ad attraversare il mare.”
“Bene. E per andare dove?”
“Lontano, verso terre lontane dove non ci si può arrivare
attraversando un ponte.”
“Mmm. Sei proprio bravo. E dove arrivi?”
“Arrivo in un paese che non conosco, dove c'è gente con la pelle
di tanti colori, che vivono in case basse, in città piene di bambini che
corrono, di ragazze che danzano, ci sono animali che non ho mai visto prima,
gatti con le ali e cani con il muso da pesce, e ci sono odori di spezie che
vanno nel naso e fanno quasi male da quanto buoni sono, e poi su tutte le case
ci sono bandiere colorate, la gente ha due ombre perché ci sono due soli nel
cielo, e ci sono macchine che rotolano, saltano, girano su se stesse e, volano,
suonano, cantano...”
“Va bene, va bene basta così” lo interruppe la fata Annina
ridendo “e c'è qualcosa di particolare che ti interessa?”
“Sì. C'è una tavola dove stanno mangiando un guerriero con la
spada e una piratessa. Stanno mangiando e la piratessa prende in giro il
guerriero perché sta seduto bene e mangia educato mentre lei mangia con le mani
e butta gli avanzi per terra. Però si vede che il guerriero la ama e lei ama il
guerriero. Ad un certo punto si siede con loro un mago, con un mantello rosso
fuoco, che dice che c'è bisogno di loro perché sta arrivando dal deserto un
esercito di banditi feroci che odiano le persone felici e vogliono bruciare
tutta la città. Poi il mago tira fuori da sotto il mantello una specie di
bottiglia da cui fa uscire delle bolle di sapone e dentro queste bolle si vede il
deserto e l'orda dei banditi che sta arrivando...”
“Bene, basta così” lo interruppe la fata Annina.
“Come, basta così? La storia è appena cominciata!”
“Lo so, e la finirai con calma, quando vorrai. Ma adesso ti devo
dire delle cose.”
Il bambino si incuriosì, e rimase zitto, anche se in realtà
voleva vedere come il guerriero e la piratessa salvavano la città dai banditi
del deserto, magari con l'aiuto del mago oppure di... no, un attimo di
silenzio, adesso volevo ascoltare la fata.
La fata si era accorta che il bambino era ancora dentro la
storia che si era inventata e attese con pazienza di avere la sua attenzione e
quando fu sicura di averla, gli disse:
“Vedi, [qui ci andrebbe il nome del
bambino, ma io non lo metto, così ogni bambina e ogni bambino può mettere il
suo, se vuole, oppure quello di un suo amico o di una sua amica, tiè], adesso sono sicura che tu
sei quello che pensavo, uno che se ne va in giro per posti che non esistono, che
vede cose che gli altri non vedono, che racconta storie che non ci sono mai
state.”
“Insomma, sono un matto!”
“Nooo! Ancora con questa storia del matto! Non sei matto, o
forse anche sì, ma non nel senso che intendi tu! Tu sei -o meglio, sarai- uno
scrittore.”
“Uno scrittore? Uno di quelli che scrivono libri?”
“Sì, proprio uno di quelli! Perché la tua fantasia non puoi
tenertela solo per te, devi portarla anche gli altri, a quei bambini -e anche a
quegli adulti- che parlano solo di calcio, di macchine, di soldi.”
“Ma io non so scrivere.”
“Imparerai. L’importante, la cosa importante che devi tenere a
mente è che hai un arcobaleno (anzi due, perché adesso hai anche il mio) e
potrai andare dove vuoi per poi raccontare agli altri quello che hai visto.
Questa è la cosa importante, il resto è facile.”
E fu così che andarono le cose. Il bambino diventò grande e
scrisse libri che lessero sia i bambini che i grandi, e anche se, vabbè, aveva
dovuto studiare bene la grammatica, ne era valsa la pena perché chi leggeva i
suoi libri per un po' non parlava più di calcio, di macchine, di soldi e se ne
andava invece in giro per posti nuovi e bellissimi, a vivere nuove storie e nuove
avventure, proprio come lui.
E alla fine capì cosa voleva dire essere in questo mondo ma al
tempo stesso non esserci, e soprattutto capì -anche perché non l'aveva
abbandonato mai- che l'arcobaleno rovesciato non era neanche una barca: era,
nel cielo, il sorriso colorato della fata Annina.