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mercoledì 16 agosto 2023

Il giacobino (racconto)

I popoli non giudicano allo stesso modo dei Tribunali: non emettono sentenze, lanciano fulmini; e questa giustizia vale quanto quella dei Tribunali.
Maximilien Robespierr
e


Era una bella automobile, pareva appena uscita dal concessionario, con la luce dei lampioni che mandava dalla carrozzeria immacolata riflessi lucidi, quasi splendenti. Era una vettura grande, imponente, incuteva rispetto e anche un po' di timore, con le ruote esagerate pronte a scalare montagne e attraversare fiumi ma decisamente fuori posto nelle strade cittadine e il muso largo e imponente, aggressivo, che con i fanali quadrati e la maschera del radiatore che sporgeva in fuori poteva ricordare il volto di un Dio pagano, malvagio e crudele. Nell'insieme, esprimeva un'idea mista di potere, arroganza, ricchezza e disprezzo per gli altri, idea peraltro confermata dal modo incivile in cui aveva per così dire parcheggiato il suo proprietario.

L'avevano sistemata appena fuori del portico, proprio di traverso sopra il marciapiede, e bloccava completamente i pedoni che, per proseguire nel loro percorso, erano costretti a girarci attorno, passando in mezzo alla strada. E anche se a quell'ora, nel dopo cena, di pedoni non ce n'erano poi tanti in giro, la faccenda non cambiava: era il classico comportamento di chi ha poco tempo da perdere e soprattutto nessuna voglia di cercare un parcheggio come la gente normale e quindi lascia la macchina dove più gli fa comodo, era il modo di fare di una persona per la quale esiste solo se stessa e gli altri passano in secondo piano, una persona che ha tutti i diritti e non deve rispondere a nessuno. E poi in quella strada, a quell'ora, in una serata di primo autunno freddina e umida, i vigili non passano più, non c'era pericolo che nessuno chiamasse il carro attrezzi, senza considerare che un'auto del genere apparteneva certamente a un uomo di potere, e gli uomini di potere sono quelli che hanno sempre qualche santo in paradiso e le multe se le fanno togliere -quando gliele danno.

Così la pensava, e probabilmente ci azzeccava, l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre. Stava tranquillamente facendosi una passeggiata tornando a casa dopo una serata passata con gli amici al bar Da Ottavio, una ex Casa del Popolo che aveva cambiato nome ma non clientela, e si era visto il proprio cammino bloccato da quella esagerazione a quattro ruote.

Una persona normale avrebbe girato attorno all’auto, al massimo ci avrebbe brontolato un po’ sopra e mandato all’inferno il proprietario, ma l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre no. Lui si era fermato e ora se ne stava a guardare il macchinone un po’ meditabondo, con le mani incrociate dietro la schiena, con un misto di sentimenti contrastanti, come gli capitava ogni volta che si trovava di fronte a parcheggi -e automobili- del genere. Da una parte, c'era una rabbia profonda nei confronti di quelli che se ne fregano completamente dei diritti altrui, quelli che pensano che l'universo ruoti attorno a loro e che tutto sia loro dovuto, un vero e proprio odio verso l'arroganza superba del ricco e del potente che si esprimeva in comportamenti di quel genere, comportamenti incivili a dire poco. Dall'altra, c’era un sentimento quasi opposto, un misto di eccitazione e piacere, che nasceva dall’avere trovato ancora una volta l'occasione di esercitare un po' di giustizia. Non vendetta invidiosa, non cattiveria gratuita: giustizia.

Il terrore non è altro che giustizia pronta, severa, inflessibile. È quindi una emanazione di virtù.
Maximilien Robespierre

L'uomo si frugò nella tasca interna del giaccone per vedere se si fosse ricordato di portare con sé qualche biglietto di quelli che aveva stampato tempo addietro e che ormai avrebbe dovuto ristampare perché non gliene erano rimasti poi tanti. I biglietti c'erano. Bene, questo gli avrebbe fatto risparmiare tempo. Si guardò attorno. Non c’era nessuno. Sapeva che una decina di metri più avanti, dietro l’angolo, si trovava un ristorante, con tutta probabilità la meta del proprietario dell’automobile, ma la cosa non lo preoccupava: a quell’ora erano di sicuro ancora a tavola, anzi se tendeva l’orecchio riusciva a sentire il vocio dei clienti, e se anche qualcuno fosse uscito per fumarsi una sigaretta, si sarebbe fermato fuori della porta del locale. Fu quindi con tranquillità che, dopo essersi guardato di nuovo attorno e anche dietro, per vedere che non ci fosse nessuno in giro, si avvicinò all’automobile dal lato che gli stava impedendo il cammino, il lato del passeggero e, quasi con noncuranza, si posizionò sul fianco della vettura e si appoggiò, sempre con fare indifferente, sulla portiera. Poi ruotando su se stesso, appoggiò la schiena sullo specchietto e spinse, continuando a far forza lentamente ma con decisione, finché non sentì un rumore che conosceva bene, quello di un supporto di specchietto che cede. Sempre con calma assoluta, e sempre guardandosi attorno, si girò e si spostò indietro per contemplare la sua opera. Niente male: la rottura dell'attacco era stata netta e lo specchietto ora penzolava appeso ai fili elettrici che lo comandavano dall'interno. Bene. L'uomo tirò fuori da sotto il giaccone uno dei suoi biglietti per sistemarlo per bene tra il vetro del parabrezza e il tergicristallo. Proprio come una multa, pensò l'uomo posizionando il cartellino, necessario per far capire a quell’animale che doveva essere il proprietario che non si trattava di vandalismo, ma di giustizia, e infatti sopra c’era scritto, in grandi caratteri maiuscoli: “IMPARA A PARCHEGGIARE MEGLIO”.

Giustizia quindi era fatta, però l’uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre non ne era convinto del tutto. Si riparò un po’ nascosto sotto l’ombra del portico e incominciò a riflettere. Uhm. Un parcheggio come quello era proprio una cosa ignobile, vergognosa, e il suo autore doveva essere un individuo miserabile e spregevole, un incivile indegno di vivere in un consesso umano. La logica conseguenza di tale ragionamento era che la pena doveva essere proporzionata all' offesa, quindi ci voleva un trattamento esemplare.

Mise allora una mano sotto il cappotto e, seguendo la catenina con con cui lo teneva assicurato alla cintura, arrivò ad un portachiavi che teneva sempre in tasca e a cui era attaccato un piccolo coltellino a serramanico di color verde. Estratto il coltellino, con l’unghia ne fece uscire la lama, una piccola lama di neanche 3 cm, ma tenuta sempre bene affilata.

Di lasciare semplicemente qualche graffio sulla carrozzeria non se ne parlava, di sicuro avrebbe avuto un certo effetto, ma era roba da teppistelli, ci voleva qualcosa di più, una scritta oppure un disegno per ribadire con chiarezza all'incivile il concetto. Che cosa avrebbe potuto incidere allora? Beh, poteva essere una scritta sarcastica del tipo “GRAN BEL PARCHEGGIO”, o magari anche un semplice e sempre efficace “PARCHEGGIO DI M**DA” sarebbe bastato, però col biglietto la motivazione era già chiara a sufficienza, sarebbe stata una cosa in più, quello che serviva ora era un qualcosa che riguardasse quell’animale del proprietario. Naturalmente, poteva essere sufficiente una sola parola, come “S****ZO” oppure “C*****NE”, lo scopo sarebbe stato comunque raggiunto, ma il proprietario di quella massa di ferro e superbia meritava qualcosa di più. Vediamo. “GLI INCIVILI COME TE DEVONO PRENDERE L’AUTOBUS” era troppo lungo, è vero che non c'era nessuno in giro, ma non si sa mai, poteva malauguratamente capitare di dover lasciare il mssaggio a metà. Mmm… Forse qualcosa che avrebbe fatto vergognare sia il proprietario che quelli che stavano in macchina con lui… Ci rimuginò un po’ sopra e finalmente gli venne in mente l’idea giusta: un bel “TRASPORTO LETAME” da incidere a fondo sulla portiera dalla parte del passeggero. Guardò l’automobile e provò ad immaginarsi la scritta sulla portiera e sopra, dietro il finestrino, il profilo di una bella ed elegante signora. Sì, poteva andare, proprio un bell'effetto.

Sempre guardingo, si avvicinò di nuovo alla vettura e tenendosi un po' curvo per non farsi vedere incominciò col coltellino a incidere la lettera 'T' sulla portiera lucente, e la vernice veniva via a piccoli riccioli argentati.

Punire gli oppressori dell'umanità è clemenza, perdonarli è crudeltà.
Maximilien Robespierre

Ripreso il cammino verso casa, nonostante fosse pervaso da una certa soddisfazione per il lavoro svolto, l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre prese a ripensare a ciò che aveva fatto e, come gli era già capitato in altre occasioni, fu preso da una specie di dubbio e si domandò se non avesse esagerato, forse bastava solo lo specchietto, se non avesse calcato troppo la mano per dare sfogo a uno sterile sentimento di rivalsa o di vendetta, magari con un fondo di inconfessata e inconfessabile invidia.

Però, più ci pensava, più non poteva far altro che darsi ragione. Quelli che acquistano un’automobile di quel tipo, era convinto, lo fanno solo per esibirla e di conseguenza esibire, attraverso l’oggetto, la propria condizione economica e il proprio status. Se così non fosse, auto del genere, completamente inadeguate alla guida in città, fuori luogo vuoi per la dimensione che per il consumo, verrebbero utilizzate solo in campagna o in montagna, per guidare lungo prati e strade impervie: lo scopo essenziale, primario, di coloro che le acquistano e le guidano in città è appunto quello di dimostrare potere e superiorità nei confronti di tutti quelli che non si possono permettere certi lussi. Ma dal momento che dalla superiorità al dominio il passo è breve, quando al semplice possesso di quel tipo di veicoli si aggiunge un modo di parcheggiare completamente incurante dei diritti e delle esigenze degli altri, in quel caso la questione si configurava come un libero arbitrio, un abuso, in definitiva una sopraffazione, e denunciava apertamente il suo proprietario come una persona indegna del consesso civile, una persona che al diritto aveva sostituito la legge del più forte e che per questo doveva essere condannato. E con queste argomentazioni, logiche e intaccabili almeno nel suo pensiero, l'uomo finiva ogni volta per giustificarsi ed assolversi: in fin dei conti lui non faceva altro che portare giustizia dove nessun altro la portava.

La virtù è l'essenza della Repubblica. Il terrore senza la virtù è funesto.
Maximilien Robespierre

Immerso nelle sue riflessioni, l'uomo era ormai arrivato nella via dove abitava e, come al solito si fermò al fianco della sua, di auto, parcheggiata sul lato della strada, perché la sua abitazione non aveva il garage. “Questo si chiama parcheggiare, parcheggiare bene.” - pensò guardando come le gomme erano tutte ben dentro le strisce bianche, proprio nel centro dello spazio delimitato in modo tale da permettere movimenti agevoli anche alle altre auto. Gli specchietti esterni erano stati ben ripiegati, così da evitare ulteriormente ogni possibile intralcio ad altri automobilisti, ciclisti o ai pedoni sul marciapiede. Questa era quella che l'uomo chiamava virtù, e cioè fare del proprio meglio, anche in questioni banali come parcheggiare l'auto per favorire, aiutare, soprattutto non causare in alcun modo disturbo alle altre persone. Era una questione di civiltà e di rispetto per gli altri, ed era fermamente convinto che, se tutti si fossero comportati come lui, la vita sarebbe stata più semplice e migliore, magari di poco, ma migliore. 

Alle volte, certo, poteva capitare che questo suo comportamento, queste sue attenzioni quasi maniacali venissero consierate inutili: la moglie alzava spesso le sopracciglia e faceva un sorrisetto ironico quando lo vedeva perdere tempo a fare manovre dopo manovre per posizionare l'auto alla perfezione, con una pignoleria esasperata. E anche lui ben sapeva che un po' in fuori o un po' in dentro non cambiava nulla e le cose andavano avanti lo stesso, ma tant'era: lui le cose doveva farle per bene, era una questione di virtù, anzi della Virtù intesa come base per la convivenza sociale. Comportarsi con virtù dimostrava che la virtù stessa era possibile, e che chi non la praticava era colpevole, e doveva essere punito. Ancora più rinfrancato e convinto della giustizia delle proprie azioni, l'uomo tirò fuori le chiavi di casa ed entrò.

Un vero rivoluzionario dovrebbe essere pronto a perire nel processo.
Maximilien Robespierre

Erano passate le 4 di sera, l'inverno si stava già mangiando la luce del giorno, i lampioni si erano accesi e stava già diventando buio. L'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre era imbottigliato nel traffico del venerdì sera. Era nervoso perché l'ufficio dove si doveva recare chiudeva alle 17, e lui doveva, anzi: voleva, era per lui una questione di principio, consegnare i documenti in tempo.

Aveva fatto bene i conti per l'uscita, solo quel traffico l'aveva rallentato di molto, e ora rischiava di non farcela. Tamburellò nervosamente le dita sul volante. Ecco, finalmente qualcosa si era mosso e le auto avevano ripreso a scorrere. Arrivò in piazza Garibaldi che mancavano pochi minuti alla chiusura dell'ufficio. Fece due volte il giro del piazzale, ma non gli riuscì di trovare un posto libero per parcheggiare. Dannazione. A dir la verità, se lui non fosse stato lui, avrebbe potuto parcheggiare a pochi metri di distanza dal palazzo a cui era diretto, praticamente dall’altra parte della strada, sistemando l’auto appena fuori delle postazioni segnate però occupando in questo modo parte delle strisce di attraversamento pedonale, ma era una cosa che andava decisamente contro i propri principi. Sennonché, dopo un terzo, inutile giro per trovare un parcheggio libero, gli fu chiaro che se voleva consegnare per tempo i documenti, avrebbe dovuto commettere una trasgressione di quelle che aveva sempre condannato negli altri. Guardò l'orologio, mancavano ormai pochi minuti alle 17 e con una decisione tanto improvvisa quanto sofferta, fece un ulteriore giro della piazza e si andò a fermare sopra le strisce pedonali. Disse a se stesso che ci sarebbe stato solo per pochi minuti, che in realtà non intralciava nessuno e che si poteva comunque attraversare la strada senza problemi, che ormai era buio e gente in giro a piedi non ce n'era, che nessuno se ne sarebbe nemmeno accorto, che anche il rispettare le scadenze era una questione importante… ma nonostante questi suoi pensieri avessero tutti una certa logica, quando smontò dalla sua auto e si avviò verso l'ufficio aveva una specie di peso nell'anima, la coscienza di avere abbandonato, sia pure per poco, la strada della virtù.

Era trascorso neanche un quarto d’ora e l'uomo che sul comodino in camera da letto teneva gli Scritti di Robespierre aveva fatto in tempo a consegnare i documenti e adesso soddisfatto se ne stava facendo ritorno alla macchina quando, prima di attraversare la strada, si fermò e la guardò da lontano. Proprio un brutto parcheggio, di quelli che no, non dovevano essere fatti. Riconobbe nel suo comportamento una trasgressione, la colpa del mancato rispetto dei diritti altrui. Che importava se non c'era nessuno in giro? Che importava se c'era stata una oggettiva necessità? Una necessità non giustifica l'abuso, e anche se l'abuso non aveva danneggiato nessuno, l'abuso c'era stato. E doveva essere punito. Sentì un groppo alla gola, ma fu solo un attimo e la sua decisione fu presa. Si rese conto che quello che stava per fare era una cosa assurda, folle e probabilmente perfino ridicola, ma non poteva mancare ai suoi principi una volta ancora, non poteva tralasciare di punire e punirsi per ciò che aveva fatto. Con una piccola lacrima che scivolò giù per la fredda guancia, lentamente staccò il coltellino dal portachiavi alla cintura e si avviò per l'opera di giustizia. Robespierre l'avrebbe capito, Robespierre avrebbe fatto lo stesso.

Avvicinandosi alla macchina dal lato del marciapiede, si accorse però che qualcuno, con un chiodo o un altro aggeggio appuntito, gli aveva già rigato la macchina incidendoci sopra “PARCHEGGIO DI M**DA. Prima rimase a bocca aperta, stupito, ma poi non riuscì a trattenere un sorriso: l'idea si stava facendo strada.

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Questo racconto ha conseguito il terzo posto ex aequo con merito di pubblicazione al Premio Letterario Seven 2023
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E tanto per mettere le cose in chiaro: questo racconto è stato scritto nel 2021, 2 anni prima di quello che è successo a Roma con Free Park...