giovedì 7 dicembre 2023

Diffidate della realtà (ottimo per regali di Natale!)

Diffidate della realtà è una raccolta di racconti capace di dissolvere ogni certezza. Ogni capitolo è un gioiello dalle molteplici facce dove nulla va preso troppo seriamente, nemmeno la morte. Se sei alla ricerca di un’avventura letteraria questo libro rappresenta un'inestimabile opportunità, dove l'umorismo abbraccia la profondità con maestria, offrendo una prospettiva unica sulla vita stessa.

(giuro, non l'ho scritto io!)

In vendita sul sito di De Tomi editore (e non solo...)



venerdì 1 dicembre 2023

Elvira e Diodata


"...
Del gran pianeta sopra in vivo raggio
Stava una donna dolcemente vaga:
Seduta ell’era, e per lungo viaggio
Parea venir dalla celeste plaga:
Era'l suo sguardo accortamente saggio.
Angioletta fors' è? è forse maga?
Sclamai, che certo sì leggiadro viso
 Opra è d' incanto, o nacque in Paradiso.
 ...”


Nella saletta riservata sul retro della pasticceria, le amiche chiacchieravano senza che il vocio del bancone arrivasse a disturbarle. Erano in cinque, e ogni giovedì si davano appuntamento regolarmente in quella saletta accogliente, con tavoli in legno laccato e sedie Thonet, il perlinato alle pareti con appese sopra stampe d'epoca, una credenza anch'essa di legno laccato e sopra questa una vetrinetta dove erano esposte eleganti teiere in argento di stile inglese, un lampadario stile liberty, che forse faceva poca luce ma gli abat-jour a ridosso dei singoli tavoli provvedevano al resto.

Era un loro rito, trovarsi davanti ad un tè, una tisana, un cappuccino o anche una cioccolata, diete permettendo, a raccontarsi quello che era capitato nella settimana, che cosa avevano fatto, chi avevano visto, che cosa avevano sentito, anche, ma erano tutte storie abbastanza normali, erano semplicemente delle amiche, donne normali che conducevano vite normali: la casa, i figli, i mariti (erano tutte sposate, a parte Antonella, che stava divorziando), il lavoro, la televisione, la salute... cose di scarsa importanza, potrebbe magari pensare qualcuno senza considerare che la vita è fatta di tante piccole, banali cose che si attaccano l'una con l'altra e che è questo concatenarsi di cose piccole quello che crea e giustifica una intera esistenza.

Quel pomeriggio gli argomenti erano stati i mariti, soprattutto quello di Antonella. Poi erano passate a parlare del lavoro, dell'atteggiamento di uno o l'altro dei loro colleghi, e dopo ancora erano arrivate ai gatti, ai vicini che non amano i gatti, e a quant'è difficile trovare dei vicini raccomandabili... Parlavano una sopra l'altra, alzando più o meno la voce, con tono allegro oppure serio, magari anche arrabbiato ma sempre con una partecipazione viva: ognuna poteva e voleva dire la sua riguardo qualsiasi argomento.

Solo Elvira, al solito, rimaneva taciturna. Elvira, pensavano le amiche, era una che ascoltava, e non amava parlare né di sé né di altre cose. Elvira alle altre piaceva. Era una persona che non giudicava, ascoltava ma rispettava qualsiasi cosa le altre dicessero, soprattutto non faceva nessun tipo di pettegolezzo, e non metteva il naso nei fatti delle altre. Ogni tanto, quando una delle amiche la guardava o le domandava qualcosa, in genere scrollava le spalle e sorrideva, dicendo banalità di comodo, tipo “D'altronde... Le cose stanno così”, dando sempre ragione alle altre, oppure semplicemente faceva di sì con la testa, e invitava le altre a continuare i loro discorsi. Non che fosse reticente, questo no, se qualcuna le chiedeva di come andava il figlio a scuola, se al lavoro qualcuno dei colleghi le avesse mai fatto delle avances, se suo marito era uno di quelli che amavano passare le serate al bar con gli amici oppure stava a casa davanti alla televisione, lei rispondeva senza problemi, solo che raccontava le cose come se non la riguardassero, senza mostrare particolare attenzione, e sorrideva. Elvira sorrideva sempre.

Il fatto era che Elvira Colasanti coniugata Quadrelli, di anni 39, con un figlio di 15 anni e una bambina di 7, un lavoro come assistente amministrativa in Provincia, semplicemente non esisteva. Era da tanto tempo ormai che non esisteva. Da quando, stanca dei problemi, delle troppe responsabilità, di una vita che non le dava più alcuna soddisfazione, aveva deciso che lei non era più Elvira e aveva scelto di essere Diodata, la poetessa su cui aveva fatto la tesi di laurea, una poetessa che all'inizio l'aveva fatta sorridere per il suo stile ma che un po' alla volta aveva imparato ad apprezzare, una poetessa la cui lettura aveva continuato a tenere nascosta a tutti e che le era stata di conforto nei momenti anche più dolorosi e più pesanti che la vita le aveva riservato, la poetessa che alla fine aveva preso il suo posto. Perché Diodata non era solo un rifugio, una consolazione: Diodata era la sua stessa vita. Lei era Diodata, e basta.

Elvira non era morta, no, continuava a fare le cose che faceva prima, a badare alla casa e alla famiglia, a fare il suo lavoro in ufficio, a vedere gente e mandare avanti attività varie, ogni cosa come prima, sennonché tutto quello che faceva quella Elvira non la riguardava più, erano cose che venivano fatte in automatico, come respirare, cose che se uno non ci bada apposta non sa nemmeno di fare. Così, mentre Elvira si occupava di tutte le incombenze della vita, con le fatiche, i dolori e le miserie grandi e piccole che la vita comporta, Diodata se ne stava tranquilla e felice nel suo angolo, e le sue parole erano la vera, l'unica realtà che ci fosse:

"...
Il primo fior che rosseggiar qui miri
E' fresca rosa in sul mattin raccolta;
Dolce dolce nel sen par che le spiri
L' auretta alidorata in terra sciolta,
E nelle chiome in tortuosi giri
Ebe vezzosa l'ha sovente accolta,
..”


Sì, questo era Diodata. Era il mondo, l'universo, l'alfa e l'omega, un uroboro che si nutriva delle sue stesse parole e che non aveva bisogno di altro.

E anche adesso, mentre il medico di guardia le stava applicando dei punti, per il poliziotto che le chiedeva se era la prima volta che il marito la picchiava, l'unica risposta era un sorriso appena accennato dietro il labbro tumefatto, uno sguardo perduto chissà dove oltre gli occhi pesti cerchiati di nero:

“...
Que' grati fior, che la mia man coltiva
Solo ragion imparzial destina,
E del vizio per lunga età cattiva
Alma impura non soffro a me vicina.
..."


Perché quello che era successo non la riguardava, a Diodata non era capitato nulla, nulla sarebbe mai capitato a Diodata.



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Note
La contessa Rosa Ignazia Diodata Saluzzo Roero (1774-1840) è stata una letterata, scrittrice e poetessa italiana.  Testi tratti da: Versi di Diodata Saluzzo, Tomo I

Questo racconto si è classificato primo al Premio per le Arti Quia "Marta Redolfi" 2023 e pubblicato nell'antologia "Letterature per il nuovo millennio - Antologia delle esperienze italiane 2023", Quia ed., oltre che sulla rivista "Quia Magazine" di settembre 2023

domenica 22 ottobre 2023

La leggenda della torre e delle margherite (racconto)

 

La Torre e la Margherite

La storia di Lucinda e Lovello è la storia tragica di un amore contrastato, e potrebbe sembrare simile a molte altre vicende, ma ugualmente vale la pena di essere raccontata per una particolarità che la rende veramente unica.

Era Lucinda la giovane e bella moglie di Giovanardo Acquamorta, un rozzo signorotto molto più vecchio della sposa che viveva in un castello poco lontano da Jesi, mentre Lovello era un soldato di ventura che arrivava dal nord e che, stanco di guerre e di armi, aveva deciso di tornare alla propria casa, sul mare, e di fermarsi per mettere su famiglia.

Nel suo viaggio, il reduce arrivò al castello e chiese di poter dormire nella corte e di prendere un po’ d’acqua dal pozzo prima di continuare il suo cammino. Proprio vicino al pozzo, però, incontrò Lucilla e fra i due fu amore a prima vista. Decisero di fuggire assieme quella stessa notte e di raggiungere Senigallia per poi imbarcarsi verso lidi remoti e così fecero, e quando la loro fuga venne scoperta e Giovanardo, colmo d’ira, mandò i suoi uomini a cercarli, loro erano già lontani, prossimi alla meta, e certamente avrebbero fatto in tempo a sfuggire agli inseguitori.

Accadde però che, attraversando le colline attorno a Montignano, da dove già si vedeva il mare vicino, si fermarono all’ombra di una vecchia torre di guardia diroccata per riprendere fiato. Era questo un luogo meraviglioso: attorno alla torre era tutto un incanto di prati con fiori di mille e mille colori e mille profumi, e attorno a loro si sentiva solo la melodia di uccelli che svolazzavano tra viti e alberi carichi di frutti. Caddero allora vittime della malìa del posto e, dimentichi di essere braccati, si fermarono per fare all’amore, e, presi dalla passione, persero la cognizione del tempo.

Questo ritardo fu loro fatale: vennero sorpresi dagli uomini del Giovanardo e uccisi mentre erano ancora abbracciati l’uno all’altra. Il capo degli sgherri, dopo essersi assicurato della loro morte, li abbandonò là, come gli aveva comandato il suo padrone, senza dar loro sepoltura, perché venissero sbranati dai lupi attirati dal loro sangue.

La leggenda vuole però che nella torre abbandonata vivesse un vecchia maga e che questa fece sì che da quello stesso sangue sparso sul prato sbocciassero subito migliaia e migliaia di margherite che ricoprirono completamente i corpi dei due infelici amanti preservandoli così dalla fame degli animali.

Quella torre esiste ancora, e sono molte le coppie di giovani che vanno a giurarsi eterno amore su quello che fu l’incantevole ma tragico scenario della storia d’amore di Lucinda e Lovello. Ma c’è un altro motivo che spinge gli innamorati verso questa valle, e qui la leggenda non c’entra, si tratta piuttosto di una curiosità -o di un mistero, se si preferisce- di carattere scientifico, oggetto di verifiche e studi da botanici di tutto il mondo che però non hanno mai saputo fornire spiegazioni valide a riguardo: tutte le margherite che sbocciano attorno alla torre hanno i petali dispari.

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PS
a scanso di equivoci... questa leggenda è inventata, e non credo esistano specie di margherite che hanno solo petali dispari, anche se sarebbe bello. 😉