venerdì 7 ottobre 2022

7 ottobre Giornata Mondiale del Sorriso



Storia di un sorriso


C'era una buona dose di ironia nel fatto che, piccoletto e calvo com'era, Landolfo Raimondo de Gianrodolfi Dini portasse un nome così altisonante che strideva decisamente con il suo aspetto fisico, tanto che quando doveva declinare le proprie generalità in qualche ufficio, gli impiegati anche con tutta la buona volontà non riuscivano a trattenere un sorrisetto.

Ma Landolfo Raimondo de Gianrodolfi Dini non se la prendeva mai. Perché lui era uno di quei pochi, rarissimi, uomini capaci di trovare sempre, in ogni caso della vita, il lato umoristico, ironico e leggero. Niente era troppo pesante o troppo opprimente per lui, era sempre sorridente e tranquillo, come se le cattiverie, gli affanni, le meschinità, le sofferenze grandi e piccole che costellano la vita dell'uomo gli scivolassero attorno senza lasciare traccia. Non si deve però pensare che il suo fosse un atteggiamento negativo perché il suo sorriso non si poteva confondere con il ghigno indifferente del cinico, perché a differenza della fredda insensibilità di quest'ultimo, lui partecipava alle miserie umane, e faceva del suo meglio per alleviarle: semplicemente, non se ne lasciava coinvolgere e manteneva sempre una pace interiore, cosa che, tra l'altro, gli permetteva di aiutare meglio i suoi simili meno fortunati.

Era un uomo insomma che passava attraverso la vita in modo lieve ma non distaccato: se è vero, ed è vero, quello che una volta scrisse un saggio, "mostratemi le cose di cui un uomo non riesce a ridere ed io vi mostrerò le sue catene", allora Landolfo Raimondo De Gianrodolfi Dini era un uomo libero e col suo sorriso che non lo abbandonava mai, rendeva un po' più liberi e un po' più leggeri tutti quelli che per un motivo o per l'altro avevano a che fare con lui.

Col tempo, accadde che egli stesso, il suo stesso corpo fisico, come in una mutazione o in una sorta di evoluzione, incominciasse a perdere consistenza diventando via via sempre più incorporeo, finché alla fine si tramutò in puro spirito, un sorriso che come un soffio uscì dalla finestra e si mise a volare nel cielo, un sorriso leggero leggero che si lasciò andare sospinto dal vento. E il vento, che era contento di avere un nuovo compagno di giochi, da quel giorno in poi lo fece danzare con lui, e il Sorriso allora faceva capriole e giravolte, e anche lui era contento, tanto che alle volte poteva anche tramutarsi in una risata, ma non una risata di scherno o cattiva, una risata di quelle che nascono dal cuore e rendono il mondo più luminoso.

Così il Sorriso, sempre portato dall’amico vento, prese a saltare da un monte all'altro, a volare sopra fiumi e città, anzi spesso si faceva portare proprio giù, in basso, per le vie delle città, e rimbalzava da una casa all'altra, da un balcone all’altro, e dove si posava lasciava colori vivaci, allegri, che mettevano voglia di ballare e di stare bene, e anche là dove gli Uomini Seri e Perbene tenevano le imposte chiuse, lui si posava ad aspettare e appena appena si apriva uno spiraglio, si insinuava in quelle stanze buie e pesanti così che un po' alla volta anche queste diventavano un po' più luminose e un po' meno pesanti. E poi riprendeva il suo volo per i cieli, scortato dal volo degli uccelli e accompagnato dagli odori delle foreste, che sono anch'essi una specie di sorriso.

E se il vento lo portava in mezzo a un temporale, il Sorriso giocava con le nuvole, con la pioggia, con la grandine, con i fulmini e quando poi tornava il sereno allora il Sorriso diventava un arcobaleno, ma non un arcobaleno normale, un arcobaleno rovesciato, di quelli che sembrano un sorriso e che fanno paura agli Uomini Seri che non sono capaci di vedere le cose in modo diverso, ma al tempo stesso fanno più felici i bambini e quei grandi che non sono mai cresciuti del tutto.

Buona giornata del Sorriso a tutti






giovedì 30 giugno 2022

Nutrirsi di comunicazione

 

Nato nel 1976 a Castelmazzo, Pier Maria Fringuecci, vivente, è a tutt'oggi oggetto di studio e ricerche congiunte da parte di medici e di ingegneri della comunicazione.

Fu il capitano medico alla visita militare che si accorse che i capelli del coscritto non erano semplici filamenti proteici ma fungevano da antenna ricevente con cui il Fringuecci poteva captare vari programmi televisivi.  I successivi esami da parte di specialisti stabilirono che ad ogni singolo follicolo corrispondeva una specifica emittente, uno specifico canale o una specifica trasmissione e che la ricezione di queste continuava in ogni momento del giorno e non era controllabile da parte della persona. 

Ulteriori ricerche (tuttora in corso) appurarono che nei flussi captati ed assorbiti dal Fringuecci sono presenti tutte le principali emittenti nazionali e che in presenza di nuove trasmissioni e nuovi programmi si attivano nuovi follicoli per recepire anche questi, così come si attivano nuovi follicoli per le emittenti locali quando l'individuo per qualche motivo si sposta ad esempio da una regione all'altra. 

Anche se il Fringuecci non riesce a selezionare, interrompere o modificare in qualche modo le diverse trasmissioni, la continua ricezione di un tale e ininterrotto flusso di informazioni sembra comunque non comportare particolari effetti dannosi a livello fisico, se non per il fatto che, col tempo, ha iniziato a nutrirsi sempre meno di cibi tradizionali e ha sviluppato una sorta di sintesi metabolica per cui si nutre solo di comunicazioni televisive: ormai sono più di 20 anni che non tocca cibo di alcun genere eppure -altro mistero del suo strano metabolismo- ogni giorno produce una quantità di escrementi equivalente a quasi 40 volte il suo peso corporeo.




sabato 4 giugno 2022

La Chiave Esagonale della Brianza

Probabilmente mai nessun soprannome fu più azzeccato di quello attribuito a Giuseppino Brugola, conosciuto da tutti come "La Multipla della Brianza", che dagli anni '20 del secolo scorso fino al dopoguerra fu l'operaio specializzato in fissaggio più noto e apprezzato di tutto il Nord Italia: ogni officina, ogni fabbrica grande e piccola si faceva onore e vanto di poter usufruire delle sue leggendarie abilità. In realtà, lui avrebbe preferito essere chiamato "La Chiave Esagonale della Brianza", perché è vero che la sua area di lavoro era soprattutto la Brianza ed è vero che poteva fissare ogni tipo di dado, però la sua specializzazione e la sua passione, quella in cui dava il meglio di sé con performances memorabili, era il fissaggio di dadi esagonali di misura compresa da 11/16" a 5 e 3/4" pollici. 

Quello che rendeva unico il lavoro del Brugola era la sua perizia nel procedere al fissaggio di qualsiasi tipo di dado utilizzando solamente le dita della mano destra, unendo alla forza fisica necessaria all'operazione una delicatezza, una sensibilità tale che rendeva i suoi fissaggi di una precisione assoluta, dal momento all'epoca non c'era nessuna strumentazione né alcun strumento in grado di controllare e stabilire il punto esatto in cui si doveva fermare il lavoro di avvitamento senza che fosse né troppo lasco né troppo stretto. In quegli anni, i dadi fissati da Giuseppino Brugola rappresentarono la perfezione e ancor oggi sono oggetto di studi (alcuni di essi sono ancora conservati con cura nel Museo dell'Officina a Pedalate) e nemmeno i più moderni dadi ciechi autobloccanti sono in grado di reggere il paragone con questi.

In una lunga intervista rilasciata a "La Domenica Italiana" nel 1962, quando ormai era pensionato, Giuseppino Brugola raccontò che nel suo lavoro si serviva anche di una ulteriore e irripetibile capacità, cioè quella di essere in grado, alla bisogna, di secernere da sotto le unghie un liquido denso e oleoso, che gli serviva sia in fase di avvitamento che di eventuale svitamento, ma che la sua modestia e la volontà di non umiliare i colleghi gli aveva impedito di rivelare la cosa all'epoca della sua massima fama.

Nella stessa intervista, confessò anche il suo rimpianto per non avere avuto un figlio per potergli trasmettere e insegnare quella che per lui era un'arte, e questo perché tutte le sue fidanzate dopo qualche tempo lo lasciavano perché le sue carezze erano sì amorose e delicate, ma le sue mani, dicevano, "emanavano un forte, insopportabile odore di olio di officina".